Le conseguenze psicologiche della contenzione fisica: che cosa dice la letteratura?


Per “contenzione fisica” o “mezzo fisico”, in ambito sanitario, si intende: “qualsiasi dispositivo, materiale o apparecchiatura fissata o posta vicino al corpo di una persona e che non può essere controllata o rimossa facilmente dalla persona” (Evans et al., 2002).
Il ricorso alla contenzione nel processo di assistenza è, ad oggi, un fenomeno ampiamente diffuso sia in sede ospedaliera che nelle residenze sanitarie assistenziali, e il fine comune presentato dai professionisti sanitari per motivarne l'impiego sembra essere la sicurezza della persona, quindi la promozione ed il mantenimento di uno stato di salute e benessere, nonché la protezione da eventuali complicazioni.

La prevenzione delle cadute è attualmente considerata la principale causa di contenzione; seguono: la gestione delle emergenze comportamentali, la prevenzione del vagare e dello scivolamento, e il supporto posturale. In realtà, non sempre il suo utilizzo risulta efficace per la motivazione presentata; per esempio, studi hanno rivelato che la contenzione fisica non si associa ad una riduzione del numero di cadute, né che la sua rimozione ne causerebbe una crescita, o, ancora, molto spesso è proprio l'applicazione dei mezzi di restrizione a determinare un aumento dell'agitazione ed aggressività della persona (Zanetti et al., 2012).

Qualunque sia la ragione presentata per contenere il paziente, tale procedura dovrebbe essere attuata seguendo le linee guida e i protocolli di riferimento, di cui i professionisti sanitari sono responsabili per garantire l'erogazione ottimale dell'assistenza e prevenire eventuali complicanze.

I rischi cui può essere esposto l'assistito e le lesioni che ne possono derivare sono molteplici e sono riducibili in due gruppi: lesioni dirette e indirette, le prime provocate dalla pressione esterna del dispositivo contenitivo, le seconde comprendono gli esiti avversi dovuti all'immobilità secondaria all'applicazione della misura restrittiva. (Zanetti et al., 2009).

Ciò che più di tutto tutela il paziente da eventuali ripercussioni è il consenso informato, a garanzia della libertà della persona come diritto fondamentale dell'essere umano. Nei casi in cui questo non possa essere ottenuto, la contenzione fisica è regolata dal cosiddetto “stato di necessità”, ad indicare la situazione in cui esiste un pericolo reale, attuale o danno oggettivo alla vita o all'integrità dell'assistito, che ne permetterebbe l'utilizzo esclusivamente qualora mezzi alternativi non abbiano prodotto alcun risultato e purché i benefici siano superiori ai possibili danni associati.

La valutazione del paziente durante l'intera procedura è fondamentale e non si limita alla sua osservazione, ma include il monitoraggio dei parametri vitali, delle condizioni fisiche, dello stato cognitivo e del corretto posizionamento dei presidi. Inoltre, l'infermiere è anche responsabile della soddisfazione dei bisogni dell'assistito e della realizzazione degli interventi assistenziali previsti.

Un altro fattore che non può essere sottovalutato è il controllo e la prevenzione dei danni psicologici, perché la contenzione fisica comporta nella persona che la vive un impatto emotivo importante e l'esperienza può essere vissuta in modo particolarmente negativo.
E’ proprio per poter verificare le conseguenze psicologiche che l'intervento restrittivo reca sui pazienti che abbiamo effettuato una revisione della letteratura avendo come focus di attenzione le testimonianze di che ha vissuto la contenzione fisica e ne ha riferito l’esperienza.

La revisione della letteratura
Per reperire le fonti bibliografiche sono state consultate banche dati multimediali selezionando parole chiavi quali: physical restraints, experience, effects, coercive measures, perceptions, patients.
Tra tutte le fonti reperite sono stati selezionati undici articoli pubblicati tra gli anni 2010 e 2015 (Tabella 1).

Tabella 1 – Gli articoli selezionati

ANNO

RIVISTA

AUTORI

TITOLO

RISULTATI

2015

Psychiatry J.

Lanthén K., Rask M., Sunnqvist C.

Psychiatric Patients Experiences with Mechanical Restraints: An Interview Study

Quando la contenzione fisica è inevitabile, è necessaria la presenza di uno staff formato. Gli infermieri dovrebbero possedere una formazione ottimale, dovrebbero essere consapevoli delle loro azioni ed essere sempre presenti durante le procedure di contenzione, in cui i pazienti sono più vulnerabili.

2015

Can J Psychiatry

Ling S., Cleverley K., Perivolaris A.

Understanding Mental Health Service User Experiences of Restraint Through Debriefing: A Qualitative Analysis

I pazienti considerano la contenzione in modo negativo e non la vedono come un intervento terapeutico. Il debriefing diventa utile per comprendere l'esperienza della contenzione e dovrebbe essere usato per ricreare la relazione terapeutica ed informare sui piani assistenziali.

2014

Int. J. Community Based Nurs. Midwifery

Fereidooni Moghadam M., Fallahi Khoshknab M., Pazargadi M.

Psychiatric Nurses' Perceptions about Physical Restraint; A Qualitative Study

Gli infermieri che hanno partecipato allo studio hanno descritto l'uso della contenzione fisica come una delle strategie principali di controllo dei pazienti psichiatrici e, al di là delle conseguenze negative, ancora molto usata. Suggeriscono la ricerca di strategie alternative.

2013

Issues Ment. Health Nurs.

Larue C., Dumais A., Boyer R., Goulet M. H., Bonin J. P., Baba N.

The experience of seclusion and restraint in psychiatric settings: perspectives of patients

Alcuni pazienti hanno ritenuto che l'intervento di contenzione/isolamento sia stato utile, altri invece no. I pazienti hanno suggerito l'uso della comunicazione, farmaci o interventi ambientali per prevenire l'isolamento. Buona parte ha riferito di non essere stata seguita dallo staff assistenziale nel periodo di tempo successivo all'esperienza.

2013

Int J Ment Health Syst.

Soininen P., Putkonen H., Joffe G., Korkeila J., Puukka P., Pitkänen A., Välimäki M.

Does experienced seclusion or restraint affect psychiatric patients' subjective quality of life at discharge?

Gli studi suggeriscono che le procedure di contenzione/isolamento non influenzano in modo considerevole la qualità di vita dei pazienti, o che la loro influenza è di breve durata. Non avendo misure di confronto, questo risultato rimane incerto.

2013

Int J Ment Health Nurs.

Soininen P., Välimäki M., Noda T., Puukka P., Korkeila J., Joffe G., Putkonen H.

Secluded and restrained patients' perceptions of their treatment

Si rileva dallo studio che l'opinione dei pazienti dovrebbe ricevere maggiore attenzione nel processo decisionale. I trattamenti sanitari dovrebbero garantire la comunicazione tra i pazienti e lo staff, lo sviluppo di alternative e l'integrazione dei pazienti nel processo di pianificazione.

2013

Isr. J. Psychiatry Relat. Sci.

Vishnivetsky S., Shoval G., Leibovich V., Giner L., Mitrany M., Cohen D., Barzilay A., Volovick L., Weizman A., Zalsman G.

Seclusion room vs. physical restraint in an adolescent inpatient setting: patients' attitudes

Considerati i dati raccolti nello studio, il 70% dei partecipanti adolescenti ha preferito l'isolamento alla contenzione fisica, mentre il 22% ha preferito quest'ultima. L'isolamento è stato indicato come una procedura meno spaventosa della contenzione e più consona per il miglioramento del loro stato mentale. Si conclude che l'uso delle camere di isolamento potrebbe essere migliore della contenzione fisica per i pazienti adolescenti.

2012

Perspect Psychiatry Care

Kontio R., Joffe G., Putkonen H., Kuosmanen L., Hane K., Holi M., Välimäki M.

Seclusion and restraint in psychiatry: patients' experiences and practical suggestions on how to improve practices and use alternatives

I pazienti sostengono di aver ricevuto insufficiente attenzione, durante le procedure di contenzione/isolamento, al loro punto di vista su come procedere. Miglioramenti e alternative, suggeriti da questi, dovrebbero essere parte dell'assistenza infermieristica, ma non sono stati considerati in modo opportuno.

2012

BMC Psychiatry

Georgieva I., Mulder C.L., Whittington R.

Evaluation of behavioral changes and subjective distress after exposure to coercive inpatient interventions

Lo studio non ha rivelato differenze significative nell'efficacia delle procedure di contenzione fisica e chimica e nella sofferenza soggettiva dei gruppi esaminati, eccetto che i pazienti sottoposti a contenzione chimica abbiano riportato un minor senso di isolamento. L'applicazione combinata di più misure di contenzione, a prescindere dal tipo, ha causato una maggiore sofferenza fisica e un maggior senso di isolamento rispetto al loro utilizzo singolo.

2011

Br J Psychiatry

Sibitz I., Scheutz A., Lakeman R., Schrank B., Schaffer M., Amering M.

Impact of coercive measures on life stories: qualitative study

Le diverse prospettive dei partecipanti sulla contenzione suggeriscono che i pazienti potrebbero considerare le misure contenitive come necessarie, in situazioni di pericolo per sé o per altri. È però necessario migliorare la procedura di contenzione, principalmente per prevenire un eventuale trauma.

2010

BMC Psychiatry

Bergk J., Flammer E., Steinert T.

“Coercion Experience Scale” (CES) – validation of a questionnaire on coercive measures

La C.E.S. è uno strumento per misurare l'impatto psicologico durante gli interventi di contenzione. I ricercatori hanno proposto il suo utilizzo per confrontare diversi interventi contenitivi e come strumento di valutazione per i pazienti che hanno bisogno di supporto psicologico dopo la loro applicazione.

Le persone coinvolte negli studi sono per la maggior parte persone ricoverate in reparti psichiatrici o che hanno usufruito dei servizi di igiene mentale, l’età media è di 40.8 anni, ad eccezione di uno studio, in cui partecipanti risultano avere un'età media di 16.8 (range da 13 a 24 anni).

Essere privati della propria libertà di movimento e della possibilità di scelta ha sul paziente un impatto psicologico importante da non sottovalutare. L'esperienza che ne deriva è soggettiva e varia, ma non realmente negativa per tutti: se da alcuni è stata descritta come una violazione della loro libertà, altri hanno fornito considerazioni positive nei confronti di questo intervento sanitario-assistenziale.

Analizzare le parole di chi ha vissuto la contenzione in prima persona può essere determinante per poter migliorare l'intervento e la sua applicazione, eliminando i fattori di disturbo e favorendo quelli che, invece, hanno aiutato gli assistiti ad affrontare l'evento.

Un miglioramento dell'esperienza della contenzione si potrebbe ottenere attraverso l'utilizzo di scale di valutazione per analizzare e confrontare nel tempo i sentimenti che ne derivano. È il caso della “Coercion Experience Scale” (C.E.S.), un questionario con cui sarebbe possibile valutare due grandi temi: il senso di violazione dei propri diritti e gli stressor, ossia gli agenti stressanti vissuti e quelli che hanno fatto soffrire di più (Bergk et al., 2010). Il suo impiego, inoltre, permetterebbe di confrontare le varie misure coercitive e rilevare quali pazienti avrebbero bisogno di un supporto psicologico al termine della procedura.

Dagli articoli analizzati è emerso che una buona parte delle persone sottoposte a contenzione ha espresso giudizi negativi sull'esperienza. Per alcuni, la restrizione ha causato un'alterazione della loro autostima e del senso di sé (Sibitz et al., 2011). Si sono sentiti discriminati, “matti” e “cattivi”; si sono sentiti vulnerabili, incerti verso loro stessi e hanno più volte considerato la contenzione come una punizione, più che un trattamento necessario (Sibitz et al., 2011; Kontio et al., 2012; Soininen, Putkonen et al., 2013).

Alcuni assistiti hanno riportato di non essere stati ascoltati e considerati, di non essere stati inclusi nella pianificazione dei trattamenti e di non aver ricevuto informazioni sulla procedura di restrizione, sulla sua durata e su cosa sarebbe successo successivamente (Sibitz et al., 2011; Kontio et al., 2012; Lanthén et al., 2015; Ling et al., 2015; Soininen, Välimäki et al., 2013). In molti hanno espresso il desiderio di essere maggiormente coinvolti nella pianificazione dei trattamenti contenitivi e di poter vedere per iscritto ogni step a cui dovrebbero essere soggetti (Kontio et al., 2012).

Un altro fattore che sembrerebbe aver influito sull'esperienza della contenzione è la perdita dell'autonomia che ne deriva. Alcuni hanno dichiarato di aver avuto problemi nel soddisfare i loro bisogni basilari, come lavarsi, andare in bagno, mangiare o bere. Il trattamento era un momento lungo, noioso e stressante, e non permetteva loro di svolgere attività produttive come leggere un libro o fare esercizio fisico (Kontio et al., 2012; Ling et al., 2015).
Non per tutti, però, la procedura contenitiva è stata vissuta interamente come qualcosa di negativo.

Per alcuni pazienti la sua applicazione era inevitabile per il trattamento della loro aggressività; un freno d'emergenza necessario per garantire la propria sicurezza e quella degli altri, non altrimenti ottenibile con altri mezzi (Sibitz et al., 2011; Soininen, Välimäki et al., 2013; Lanthén et al., 2015).

La contenzione, hanno riferito, era un intervento di sicurezza, perché li proteggeva dall'autolesionismo quando la rabbia diventava troppo forte e “perdevano la testa”. L'intervento li faceva sentire al sicuro, e la calma tornava (Lanthén et al., 2015; Ling et al., 2015); inoltre, forniva tranquillità e permetteva loro di potersi riposare, protetti dagli stimoli nocivi (Kontio et al., 2012).

Alcuni assistiti hanno fornito suggerimenti per migliorare l'applicazione della contenzione fisica, come trasferire i pazienti più aggressivi in prossimità della medicheria o aumentare il dosaggio farmacologico; altri hanno invece proposto come alternativa l'isolamento in camere apposite (Georgieva et al., 2012; Larue et al., 2013).

Sostituire l'intervento contenitivo con l'isolamento del paziente è risultato preferibile anche per un campione di pazienti adolescenti, che hanno descritto l'alternativa come meno spaventosa e più efficace (Vishnivetsky et al., 2013).
Ad influenzare l'esperienza della contenzione si è rilevata anche la mancanza di informazione e di dialogo con l'èquipe sanitaria (Kontio et al., 2012; Larue et al., 2013). Secondo quanto riferito, l'ascolto e la comprensione da parte dello staff avrebbe potuto lenire i momenti di agitazione e aggressività e, in questo modo, precludere la necessità della contenzione (Sibitz et al., 2011; Kontio et al., 2012; Ling et al., 2015).

Inoltre, avrebbe potuto favorire lo sviluppo di strategie alternative attraverso la collaborazione (Soininen, Putkonen et al., 2013). Al contrario, l'esclusione del paziente dal processo decisionale, la mancanza di informazioni e di dialogo avrebbe portato alla rottura della relazione precedentemente instaurata e alla mancanza di fiducia nei confronti del personale sanitario (Fereidooni et al., 2014).

Neanche gli infermieri, però, sono immuni all'impatto psicologico che deriva dalla contenzione fisica: l'immedesimazione con il paziente contenuto è un sentimento forte e coinvolgente, che può portare anche ad una proiezione futura di sé (Fereidooni et al., 2014).
Per alcuni, applicare la restrizione è un intervento come qualunque altro; per altri, contenere un paziente non può in nessun modo portare sentimenti positivi in chi lo assiste, perché, di fatto, implica l'idea di dover legare un'altra persona, e ciò non può dare alcun piacere.
La relazione terapeutica che caratterizza la professione infermieristica ha, di fatto, lo scopo di fornire un supporto emotivo e pratico al paziente in ogni situazione, per poter affrontare ed accettare ciò che la vita riserva.

La comunicazione con gli assistiti, quando si rendono necessari interventi controversi come la contenzione fisica, non può che essere d'aiuto per il processo di accettazione del paziente. Tra le testimonianze raccolte, quelle di coloro che hanno avuto la possibilità di relazionarsi e confrontarsi con il personale sanitario hanno riferito esperienze migliori (Kontio et al., 2012; Lanthén et al., 2015); contrariamente, molti pazienti si sono mostrati insoddisfatti per il trattamento ricevuto e lo scarso dialogo (Sibitz et al., 2011; Kontio et al., 2012; Ling et al., 2015), ed alcuni hanno riferito che il personale sanitario mostrava loro un comportamento diverso, più freddo, nei giorni in cui erano soggetti a coercizione (Lanthén et al., 2015). 

Riguardo la relazione con lo staff infermieristico, gli assistiti hanno dichiarato di volere qualcuno con cui parlare, in quella situazione; di voler ricevere gentilezza, comportamento umano, ascolto empatico, attenzione, comprensione e rispetto (Sibitz et al., 2011; Kontio et al., 2012; Larue et al., 2013). Alcuni, invece, hanno richiesto anche solo più tempo da poter trascorrere con i professionisti sanitari, accontentandosi persino di una presenza silente al loro fianco; un essere umano che fosse lì per loro (Kontio et al., 2012; Ling et al., 2015). 

La presenza fisica dello staff durante il periodo di contenzione è stata definita da molti come fattore fondamentale per sentirsi al sicuro. Allo stesso tempo, quando questi si tenevano a distanza, l'esperienza veniva descritta come negativa (Lanthén et al., 2015; Ling et al., 2015). A volte, è stato dichiarato, era sufficiente il minimo contatto fisico, come porre una mano sulla spalla o sul braccio, per ridurre l'ansia e favorire la calma (Lanthén et al., 2015).

L'elaborazione dell'esperienza della contenzione fisica potrebbe essere paragonata all'elaborazione di un trauma, perché lo stato di necessità che la rende inevitabile implica una condizione di fragilità del paziente nel momento vissuto di conseguenza, non tutti riescono a convivere con i successivi effetti psicologici. Molti pazienti, terminata la restrizione, si sono ritrovati senza sapere cosa fosse realmente successo e perché, sentendosi pieni di sentimenti di dubbio e colpa (Larue et al., 2013). 

Alcuni hanno dichiarato la loro incertezza sul perché si sia resa necessaria e hanno richiesto di poter sapere come sia stata vissuta dal personale assistenziale. Molte testimonianze analizzate riportano il desiderio dei degenti di poter parlare dell'episodio della contenzione e di voler condividere le proprie emozioni con gli infermieri per poter ricostruire con loro la relazione terapeutica (Larue et al., 2013; Lanthén et al., 2015; Ling et al., 2015). 

La possibilità di debriefing, di colloquio, con lo staff è stata vista come un modo per processare e superare l'evento (Lanthén et al., 2015). Chi ha avuto la possibilità di effettuare questa consulenza, ha riferito esperienze positive e una riduzione dei sentimenti negativi. Secondo loro, il debriefing potrebbe aiutare qualora ci fosse un'incomprensione con il personale sanitario durante l'episodio di contenzione e permetterebbe di poter ascoltare la versione dei professionisti, per facilitare il superamento dell'esperienza e non generare un trauma dall'evento vissuto (Lanthén et al., 2015).

Conclusioni
Dalla revisione della letteratura sono emerse testimonianze varie sull'esperienza di coercizione, ma è stato rilevato anche un filo conduttore comune: la maggior parte dei pazienti che hanno partecipato agli studi hanno evidenziato come il rapporto con il personale sanitario abbia migliorato in modo decisivo l'evento vissuto. 

Allo stesso tempo, coloro che non hanno avuto la possibilità di poter instaurare una relazione con lo staff, hanno riferito di aver sofferto per questa mancanza e di averla considerata tra i principali fattori influenti per un'esperienza negativa.
Sembra che la carenza di comunicazione non permetta a pazienti e infermieri di potersi comprendere e di poter capire gli intenti reciproci, i sentimenti e le preoccupazioni nascosti dietro l'intervento contenitivo. I degenti hanno ammesso di desiderare di essere resi parte integrante del loro stesso trattamento, di essere ascoltati, compresi e considerati come partners attivi dai professionisti sanitari.

La relazione terapeutica è stata considerata dagli assistiti come un rapporto con gli infermieri affidabile e sincero, che fornisce protezione e senso di sicurezza. La comunicazione durante il periodo di contenzione e successivamente ad esso, si è dimostrata un criterio insostituibile per permettere loro di accettare l'intervento subìto ed elaborare i sentimenti che ne sono scaturiti. 

La revisione bibliografica effettuata ha dimostrato come favorire la relazione terapeutica attraverso la comunicazione, l'ascolto e la condivisione con il paziente possa realmente migliorare l'esperienza di degenza e di contenzione non solo durante la procedura, ma anche per l'impatto futuro.
Inoltre, il confronto con il paziente è determinante per poter migliorare l'impiego dei mezzi restrittivi e per poter identificare possibili strategie alternative e metodiche comunicative per ridurre l'aggressività e la perdita di controllo dei degenti.
 

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Bibliografia

– Bergk J., Flammer E., Steinert T. (2010) "Coercion Experience Scale" (CES) – validation of a questionnaire on coercive measures. BMC Psychiatry.
– Evans D., Wood J., Lambert L., et al. (2002) Contenzione fisica – Parte 1: l’uso nei reparti per acuti e residenziali. Best Practice.
– Fereidooni M. M., Fallahi K. M., Pazargadi M. (2014) Psychiatric nurses' perceptions about physical restraint; a qualitative study. IJCBNM.
– Georgieva I., Mulder C.L., Whittington R. (2012) Evaluation of behavioral changes and subjective distress after exposure to coercive inpatient interventions. BMC Psychiatry.
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– Zanetti E., Castaldo A., Gobbi P., et al. (2009) Superare la contenzione: si può fare. I quaderni dell'infermiere, 25.
– Zanetti E., Castaldo A., Miceli R., et al. (2012) L'utilizzo della contenzione fisica negli ospedali e nelle Residenze Sanitarie Assistenziali: indagine multicentrica di prevalenza. L'infermiere, 2, 29-38.