L’esperienza personale e professionale degli infermieri italiani nel Regno Unito


Contrariamente agli anni Novanta e Duemila, quando il fabbisogno di personale permetteva l’accesso dei giovani professionisti nel mondo del lavoro, l’ultimo decennio è stato caratterizzato da una progressiva riduzione delle possibilità di allocazione degli infermieri neolaureati.
Nonostante dal rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico – OCSE – sulle risorse umane italiane in ambito sanitario (Jonathan Chaloff, 2008) emergesse la necessità di incrementare le assunzioni di personale in risposta alla previsione della crescita di domanda assistenziale, negli anni a seguire si è assistito alla progressiva riduzione del turnover infermieristico.

La crisi occupazionale ha determinato lo sviluppo di nuove modalità di inserimento al lavoro, tra le quali la migrazione verso il mercato di Paesi stranieri. Su questo ha inciso anche il blocco contrattuale in vigore dal 2009 in Italia.
Gli aspetti occupazionale ed economico, però, non sono i soli a determinare lo spostamento all’estero degli infermieri italiani: precarietà, scarsa valorizzazione ed in alcuni casi demansionamento sono altre leve che incidono sulla scelta di trasferirsi.

Prevalentemente i giovani infermieri sono rimasti in Europa, privilegiando il Regno Unito (UK). Tra le motivazioni che spingono verso questo Paese, vi è la maggiore possibilità di crescita e di valorizzazione professionale (Caramello, 2015).

Si stima che nel triennio 2012-2015 il numero di infermieri espatriati in UK sia aumentato del 70%, in pratica 2.500 unità, come dichiara il Nursing and Midwife Council – NMC (Caramello, 2015).
Inoltre, occorre tenere presente l’esito del referendum sul Brexit e il senso di incertezza che la vittoria del Leave ha determinato nei lavoratori stranieri nel Regno Unito.

Alcuni addetti ai lavori lasciano trapelare un timido ottimismo a causa del fatto che il National Healt System (NHS) rischierebbe un’importante battuta di arresto, qualora l’uscita dall’Unione Europea rendesse più difficile l’arruolamento di personale straniero. Anche la British Medical Association evidenzia il ruolo vitale degli infermieri europei non inglesi nell'effettivo funzionamento del NHS (Barker, 2016).

L’esperienza degli infermieri italiani in UK
Per comprendere il punto di vista degli infermieri italiani rispetto all’esperienza in UK, è stata realizzata una survey rivolta a coloro che avevano svolto attività nel Regno Unito o che vi stavano lavorando nel periodo luglio-agosto 2016. Lo scopo era individuare le percezioni degli infermieri italiani rispetto all’esperienza in UK e raccogliere informazioni circa gli aspetti positivi e le eventuali criticità.

Lo strumento di indagine utilizzato è stato un questionario costruito ad hoc, costituito da domande con risposta chiusa e da una domanda finale a risposta aperta, dove i partecipanti potevano esprimere le proprie opinioni.

Per la costruzione del questionario, cinque infermieri italiani operativi da un periodo di tempo superiore ad un anno in UK hanno descritto l’esperienza in forma narrativa. Il link per l’accesso al questionario on-line è stato diffuso mediante social network ed e-mail, oltre ad essere stato pubblicato sul sito Nurse24.it.

Risultati
Hanno aderito all’indagine 158 infermieri (58% di sesso femminile) con età media di 28 anni, provenienti da tutta Italia: di questi 3 con Laurea Magistrale, 7 con Master in Coordinamento, 12 con Perfezionamento e 13 con Master Professionale.

Al momento dell’indagine, il 92% viveva in UK con una prevalenza nella città di Londra; 131 infermieri su 158 lavoravano presso il NHS Hospital di Londra ed il 90% aveva svolto o stava svolgendo attività di Staff Nurse BAND 5, quale livello economico di base previsto per il personale infermieristico neoassunto.
Rispetto alle modalità di assunzione, gli intervistati hanno risposto di essere stati ingaggiati nel 73% dei casi in Italia e nel 26% in Inghilterra, con modalità di reclutamento diversificate (Tabella 1).

Tabella 1 – Modalità di reclutamento degli infermieri italiani
Tabella 1 - Modalità di reclutamento degli infermieri italiani

Per l’89% la durata dell’esperienza è inferiore ai 2 anni.

Il 57% dei rispondenti ha confermato che non esiste equiparazione della Laurea in Infermieristica acquisita in Italia; di conseguenza è necessario svolgere un training su tematiche quali: gestione ventilazione non invasiva (39%), inserimento accesso venoso periferico (66%), BLS/ILS/ALS (85%), inserimento catetere vescicale (53%), somministrazione intramuscolare e sottocutanea (59%), prelievo venoso (70%), somministrazione endovenosa (77%), altro (48%). In 54 su 158 hanno dichiarato di aver acquisito un titolo di studio nel corso della propria esperienza all’estero, presso il Paese ospite (Tabella 2).

Il 71% dei rispondenti ha affermato che in UK alcune attività che in Italia sono normalmente attribuite al personale infermieristico vengono invece svolte dai medici.

Tabella 2 – Titoli acquisiti in UK
Tabella 2 - Titoli acquisiti in UK

Vita nel Regno Unito e difficoltà incontrate
La maggioranza dei rispondenti è d’accordo nel sostenere che la città in cui si sono trasferiti comporta maggiori costi per la vita quotidiana, ma offre nel contempo la possibilità di fruire di agevolazioni, come affitti più bassi e sconti/benefit sugli acquisti. Il 60% riporta di non aver avuto bisogno di aiuto da parte della famiglia o di amici per superare difficoltà economiche, di non aver riscontrato in generale difficoltà economiche (63%), con l’86% che dichiara di aver raggiunto l’indipendenza economica.

La maggioranza degli intervistati sostiene che lo stipendio è buono (77%), con una maggiore retribuzione per il lavoro svolto nel festivo (87%).

Circa il nuovo contesto di vita, gli intervistati sostengono di aver provato disagio per le differenze meteorologiche (58%) e di aver avuto difficoltà legate a cultura, stili di vita e alimentazione (52%).

La maggioranza è d’accordo sull’esistenza di difficoltà legate all’eccessiva burocrazia del sistema anglosassone (82%), ma afferma di non aver avuto difficoltà nel gestire la casa (65%) o nell’acquisire autonomia (67%). Il 48% sostiene di aver incontrato molte opportunità.

Per i partecipanti è stato difficile, dal punto di vista emotivo, allontanarsi da famiglia e amici (53% e 56%).

Altro problema sentito dal 50% dei colleghi italiani è stato quello della lingua inglese. Diverse sono le motivazioni fornite in merito alle difficoltà linguistiche (Tabella 3).

Tabella 3 – Motivazioni legate alle difficoltà linguistiche
Tabella 3 - Motivazioni legate alle difficoltà linguistiche

(le risposte evidenziate in grigio riportano osservazioni/commenti forniti dai partecipanti che non hanno avuto alcuna difficoltà con la lingua inglese)

Specifici aspetti lavorativi
La maggioranza è d’accordo nel sostenere che il Regno Unito è il paese giusto per crearsi un futuro professionale (66%) e che il sistema sanitario anglosassone aiuta i nuovi arrivati ad integrarsi professionalmente (66%). Il 51% sostiene, però, di aver subito pressione e/o stress.

Il 78% dei rispondenti è d’accordo sull’esistenza di meritocrazia e di valorizzazione professionale (Figura 1).

Figura 1 – Valorizzazione professionale in UK vs Italia
Figura 1 - Valorizzazione professionale in UK vs Italia

Altro aspetto rilevante è legato alla possibilità di svolgere turni straordinari in altri servizi (87%) e di lavorare in strutture private, anche se pubblici dipendenti (84%).

Il 71% sostiene che in Italia non è possibile arrivare all’indipendenza economica raggiungibile in UK e l’81% rifarebbe la scelta di trasferirsi. La grande maggioranza dichiara che quella nel Regno Unito è stata una bella esperienza sia in termini professionali che personali (Figura 2).

Figura 2 – Esperienza professionale e personale
Figura 2 - Esperienza professionale e personale

Volontà di tornare in Italia
Dei 145 aderenti all’indagine, ancora presenti in UK al momento della compilazione del questionario, il 61% ha affermato di sentire la mancanza dell’Italia, ma solo il 6% si è pentito di essere partito. Il 40% desidererebbe rientrare in Italia, ma alle stesse condizioni lavorative/professionali (Figura 3).

Figura 3 – Tornerei in Italia…
Figura 3 - Tornerei in Italia...


Contributo fornito da parte dei Collegi IPASVI di appartenenza in merito all’orientamento/trasferimento in UK

L’84% degli intervistati ritiene che i Collegi dovrebbero offrire orientamento specifico per i neo-laureati intenzionati a trasferirsi in UK (84%), dovrebbero essere maggiormente informati sulle procedure amministrative da adempiere (91%) e dovrebbero fornire informazioni/orientamento per gli infermieri già trasferiti e intenzionati a rientrare in Italia (94%).

Il 58% ritiene non adeguata l’informazione ricevuta per l’iscrizione al NMC e la causa è attribuita alla non conoscenza da parte dei Collegi dei metodi corretti d’iscrizione (62%).

Riflessioni/commenti liberi espressi dai partecipanti
Hanno risposto alla domanda aperta 49 infermieri: quanto emerso è sintetizzato nella Tabella 4.

Tabella 4 – Risposte aperte
Tabella 4 - Risposte aperte

Discussione e conclusioni
Dai dati ottenuti si riscontra che i partecipanti allo studio sono prevalentemente giovani (età media 28 anni), equamente distribuiti tra i due sessi e provenienti da tutta Italia.

La maggioranza è stata arruolata per lavorare in UK direttamente in Italia, mediante colloquio e prova scritta, e al momento dell’indagine prestava servizio presso il NHS Hospital di Londra svolgendo attività di Staff Nurse BAND 5.

La maggior parte era in possesso del solo titolo di base, anche se alcuni hanno avuto la possibilità di acquisire titoli post-base nel Regno Unito. Inoltre, in molti hanno eseguito training su tematiche già trattate nel corso di laurea.

Durante l’esperienza, generalmente inferiore ai due anni, gli infermieri riferiscono di aver avuto problemi legati soprattutto al distacco dalla famiglia e dagli amici, alla burocrazia, ai diversi stili di vita e con la lingua inglese.

Anche se i rispondenti ritengono l’esperienza positiva, sia in termini personali che professionali, più della metà vorrebbe poter rientrare in Italia alle stesse condizioni retributive e di carriera.

Gli intervistati ritengono che i Collegi IPASVI dovrebbero fornire orientamento e supporto agli infermieri intenzionati a fare un’esperienza lavorativa all’estero e a coloro che desiderano tornare in Italia.

L’attrazione che il NHS ha attualmente nei giovani infermieri italiani e le fattive possibilità che questi hanno di entrare nel mondo del lavoro e di arrivare concretamente ad un avanzamento di carriera ed economico, dovrebbero portare a riflettere sulle modalità di reclutamento, di valorizzazione e di crescita professionale nel nostro Paese.

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Bibliografia

http://www.epicentro.iss.it/temi/politiche_sanitarie/ocseSistemaSanitario08.asp (u.a. 30/06/2016).
– Chaloff J (2008). Mismatches in the formal sector, expansion of the informal sector: immigration of health professionals to Italy. OECD Health Working Paper n. 34.
http://www.saluteinternazionale.info/2015/12/la-crisi-della-professione-infermieristica/ (u.a. 30/06/2016).
http://danielbarker.mycouncillor.org.uk/2016/10/07/nurses-warn-nhs-would-fail-to-cope-if-eu-staff-go-metro-friday-october-7-2016/ (u.a. 30/10/2016).
http://www.nurse24.it/brexit-infermieri-italiani/ (u.a. 30/11/2016).