La realtà virtuale: un viaggio lontano dai sintomi della chemioterapia


La Classificazione Internazionale delle Malattie per l’Oncologia identifica col termine cancro, tumore o malattia neoplastica un insieme di circa 200 malattie caratterizzate da crescita cellulare incontrollata e svincolata dai normali meccanismi di controllo dell’organismo (Gori et al., 2015).

Nel 2014 l'Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) aveva divulgato un rapporto secondo cui le persone che vivevano in Italia nel 2010 dopo una diagnosi di tumore erano il 4,4% della popolazione, di cui il 45% maschi e il 55% femmine; il 39% erano persone tra 60 e 74 anni di età e circa un terzo (35%) erano oltre i 75 anni (Dal Maso et al., 2014). In un successivo rapporto del 2015 viene presentata la proiezione al 2015, che mostra un aumento di prevalenza dal 2010 del 17%, arrivando a circa 3 milioni di italiani (+20% per i maschi e +15% per le femmine).

La frequenza con cui vengono diagnosticati i tumori (escludendo i carcinomi della cute) è circa 6-7 nuovi casi ogni 1.000 uomini e 5 nuovi casi ogni 1.000 donne ogni anno.
Si può affermare che, mediamente, ogni giorno, in Italia quasi 1.000 persone si ammalano di tumore (Gori et al., 2015). Nonostante la mortalità sia in riduzione e la sopravvivenza sia in aumento, le malattie oncologiche si confermano un fenomeno estremamente rilevante. L'allungamento della prospettiva di vita post-diagnosi è dato in parte dal miglioramento delle terapie chemioterapiche.

Le persone a cui viene somministrata chemioterapia sono soggette ad una varia sintomatologia dovuta agli effetti collaterali o alla malattia stessa. L'Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) ha elencato e descritto questi sintomi, individuandone sei come principali, tra cui il più frequente è la fatigue, seguito da dolore, nausea e vomito (possibilità di manifestazione da alcuni minuti a diverse ore dopo la somministrazione del farmaco chemioterapico), costipazione, insonnia e carenza di appetito, presenti in più del 50% dei soggetti (AIRC, 2016).

Nascita e evoluzione della realtà virtuale
Tra i vari interventi, farmacologici e non, atti a ridurre la sintomatologia legata ad assunzione di chemioterapico, si sta sviluppando la realtà virtuale (VR), definibile come ambiente tridimensionale ed immersivo, generato da un computer, in cui il soggetto o i soggetti interagiscono tra loro e con l’ambiente come se fossero realmente al suo interno (Riva et al., 2016). La realtà virtuale è detta immersiva perchè in grado di creare un senso di assorbimento nell'ambiente, estraniando così la persona dalla realtà; ciò è reso possibile dal contemporaneo coinvolgimento di più sensi (almeno vista e udito) e dalla modifica dell'immagine tridimensionale in base al punto di vista dell'utente, grazie ad appositi sensori di movimento.

Nel 1968 Sutherland, presso l'Università dello Utah, ha creato quello che viene considerato il primo sistema di realtà virtuale con visore: in quella versione, ancora rudimentale, l'unica immagine osservabile era un semplice cubo. Il visore sfruttava due schermi a tubo catodico ed era così grosso e pesante che per riuscire ad indossarlo i ricercatori dovevano montarlo su un sollevatore collegato al soffitto: per questo motivo venne chiamato The Sword Of Damocles, ovvero la spada di Damocle (Figura 1).

Figura 1 – Sutherland indossa la spada di Damocle (Pedrocchi, 2016)
Figura 1 - Sutherland indossa la spada di Damocle (Pedrocchi, 2016)

L'idea della realtà virtuale iniziò a raccogliere rapidamente consensi, ma solo nel 1987 Lanier, fondatore della compagnia VPL (Visual Programming Languages Research, creò il termine Virtual Reality (VR).
Con la diffusione di tale termine innovativo iniziò la corsa alla VR. Fu un susseguirsi di nuovi visori VR, sempre più piccoli e realistici, fino al 1995, anno in cui avvenne il primo grande fallimento nella breve storia della realtà virtuale e di uno dei più grandi disastri nella storia dei videogiochi: l'azienda Nintendo® lanciò Virtual Boy, una console costituita da un elmetto contenente due display che permetteva un'esperienza di gioco in VR. Ma questo gioco venne criticato poichè generava negli utenti effetti collaterali quali nausea, mal di testa e disturbi visivi, anche dopo un breve utilizzo.

Con il finire degli anni Novanta cessò l'interesse per la realtà virtuale; la maggior parte dei dispositivi VR di quegli anni era stata disastrosa e non vi fu più un tentativo concreto di approccio alla realtà virtuale per più di un decennio. Grazie alla progressione della tecnologia fu possibile la realizzazione di apparecchiature e strumenti sempre più sofisticati: nel 2012 la società Oculus®, fondata da Luckey, presentò un visore VR con innovative caratteristiche di leggerezza ed elevato coinvolgimento. La tecnologia era ormai maturata abbastanza per riuscire a soddisfare le richieste del pubblico, ma il prezzo era ancora troppo elevato per permetterne la diffusione su larga scala.

Nel 2014 la rivoluzione arrivò da Google® con il suo Google Cardboard®: innovativo ed economico visore che, al posto di uno schermo integrato ad alta risoluzione ed un computer dedicato come per l'Oculus®, sfrutta le potenzialità e lo schermo dello smartphone. Si tratta di una semplice struttura di cartone sagomata, la quale, grazie alla presenza di un sistema ottico, permette la messa a fuoco del display a distanze minime. E’ sufficiente inserire il proprio smartphone e collegarlo ad un paio di cuffie per ottenere una realtà virtuale totalmente immersiva ma low cost. Google® fu così in grado di abbattere i costi, rendendo possibile l'acquisto del Cardboard a partire da pochi euro e ciò permise per la prima volta la diffusione della realtà virtuale su una vasta popolazione.

Negli ultimi anni si è assistito ad uno sviluppo esponenziale della VR, la cui tecnologia viene considerata la più rivoluzionaria arrivata sul mercato dal tempo degli smartphone. La realtà virtuale è ormai utilizzata in vari ambiti: dall'industria della moda con i camerini digitali, alla fotografia VR a 360°; dal settore dell'automotive, al cinema; dal mondo del videogame, alle visite virtuali dei musei; dalla Nasa® per i viaggi spaziali, alla giustizia per le ricostruzioni della scena del crimine.

Anche in ambito sanitario la realtà virtuale sta guadagnando grande interesse, con possibilità di applicazione in diversi settori: dalla diagnostica alla terapia, all'educazione e prevenzione. Si pronostica che il mercato globale per la realtà virtuale nella sanità raggiungerà nel 2020 3,8 miliardi di dollari (Global Industry Analysts, Inc., 2015), sebbene sia solo da poco tempo pensabile l'utilizzo ufficiale dei visori VR in ambito ospedaliero e sanitario in generale.

Il numero dei casi concreti è ancora limitato: un esempio si trova all'istituto Pascale di Napoli, dove si trova già applicata la prima sperimentazione in Italia, ma gli studi e la ricerca permetteranno di reperire un numero sempre maggiore di articoli scientifici al riguardo, in modo tale da avere a disposizione una vasta raccolta di prove d'efficacia a favore dell'applicazione della realtà virtuale nel campo della salute.
Le ipotesi formulate sui meccanismi di azione della VR sul cervello non sono ad oggi state confermate. Qui di seguito verranno esplorati gli esiti finora documentati dalla ricerca.

Esiti della realtà virtuale
Il sintomo negativo più frequente durante la chemioterapia è la fatigue. Nel suo studio Oyama at al. (1999) ne dimostrano una riduzione grazie all'utilizzo della tecnologia VR bedside wellness system: si tratta di un insieme di schermi che catapultano la persona in un viaggio virtuale nella foresta, con un meccanismo di emanazione di profumi di bosco e sensori alle gambe per cogliere i movimenti delle persone allettate, così da permettere loro di spostarsi nel mondo virtuale.

Anche secondo Chirico et al. (2016) il sintomo fatigue si è ridotto subito dopo la somministrazione di chemioterapia in combinazione con la realtà virtuale. I visori si sono rivelati senza rischi per il paziente e molto economici per il sistema sanitario. Non in ultimo si sottolinea la praticità dell'utilizzo dei visori VR: i pazienti non hanno bisogno di alcun tipo di formazione per utilizzarli.

Schneider et al. (2004), in seguito al loro studio crossover, hanno confrontato i punteggi ottenuti con la scala revised piper fatigue scale somministrata: prima della chemioterapia, immediatamente dopo la chemioterapia con realtà virtuale ed a 48h di distanza da quest'ultima, dimostrando che le donne hanno riportato una riduzione significativa della fatigue immediatamente dopo la chemioterapia con VR, ma non a 48h da quest'ultima (Figura 2). Altresì tutti i 20 soggetti hanno preferito il trattamento chemioterapico associato a VR e il 95% sarebbe disposto a riutilizzarlo. Gli autori hanno anche concluso che la VR applicata durante la chemioterapia non ha aumentato la sintomatologia negativa.

Tale preoccupazione derivava dall'attenzione posta dalla letteratura sulla cybersickness (malattia informatica), simile alla cinetosi: aumento del senso di nausea, vomito, vertigini e stress generale dovuto all'uso di attrezzature di VR (Rizzo et al., 1998).

Anche Schneider et al. (2003) ribadiscono che non vi sono stati episodi di cybersickness e che con l'utilizzo della VR il livello di fatigue è diminuito subito dopo la chemioterapia, anche a 48h da essa, ma non in modo significativo.

Figura 2 – statistica descrittiva: REVISED PIPER FATIGUE SCALE (Schneider et al., 2004)
Figura 2 - statistica descrittiva: REVISED PIPER FATIGUE SCALE (Schneider et al., 2004)

In un altro studio Schneider et al. (2007) rinforzano la tesi che il visore VR può essere usato a livello clinico: le persone sottoposte allo studio ritenevano il dispositivo facile da utilizzare e non sono state soggette a malattia informatica (cybersickness). L'86% del campione ha gradito l'intervento VR e l'82% l'avrebbe utilizzato di nuovo. Nel corso dello studio si è riscontrata una relazione indiretta tra i tempi di permanenza nell'ambiente virtuale e i livelli di fatigue.

L'intervento VR è stato applicato una sola volta ad ogni persona, quindi non è stato possibile determinare se i pazienti avessero abbastanza esposizione alla VR per produrre un effetto sui sintomi, quindi si conclude che possono essere necessarie maggiori sessioni di VR. I risultati dello studio supportano l'idea che l'uso di VR può contribuire a rendere i trattamenti di chemioterapia più tollerabili, ma non contribuiscono ad una diminuzione statisticamente significativa della sintomatologia.

Nello studio pilota condotto da Schneider et al. (2003) è stato sperimentato l'utilizzo della realtà virtuale su 16 donne con un età compresa tra 50-77 anni, affette da tumore al seno. Le partecipanti hanno utilizzato un visore VR durante tutta la somministrazione infusiva di chemioterapia, potendo scegliere tra diversi scenari o anche l’interruzione del trattamento nel caso non fosse tollerato. Le scale somministrate prima del trattamento chemioterapico con VR, subito dopo ed a 48h, sono la State-Anxiety Inventory for Adults (SAI) e la Symptom Distress Scale (SDS). I risultati mostrano una riduzione statisticamente significativa dei punteggi ottenuti con la scala SDS subito dopo il trattamento chemioterapico con VR, ma non a 48h di distanza da quest'ultimo. Non vi sono invece riduzioni significative nei punteggi ottenuti con la scala SAI, nè immediatamente dopo il trattamento, nè nelle 48h sucessive. Inoltre non sono stati riportati cybersickness o altri sintomi associati ad utilizzo di VR e il 100% delle donne ha dichiarato di volerlo riutilizzare nuovamente.

Nel 2014 gli stessi autori Schneider et al. hanno condotto un nuovo studio pilota su 20 donne con diagnosi di tumore al seno, con un età compresa tra i 18 e i 55 anni; sia prima del trattamento chemioterapico che immediatamente dopo e a 48h sono stati somministrate alle partecipanti le scale State-Anxiety Inventory for Adults (SAI) e Symptom Distress Scale (SDS). Si è osservata una riduzione statisticamente significativa dei punteggi ottenuti con la scala SDS solo immediatamente dopo la fine del trattamento. Seppur non significativa, si osserva una riduzione dei punteggi della scala SAI, sia immediatamente, dopo che a 48 h dal trattamento chemioterapico.

Sempre Schneider et al. (2007) nel suo crossover design con un campione di 123 persone adulte al loro primo trattamento chemioterapico, prevedono la valutazione del distress mediante Adapted Symptom Distress Scale–2 (ASDS-2), somministrata prima, immediatamente dopo e a 48h dal trattamento chemioterapico. I risultati dimostrano una tendenza costante verso un miglioramento del distress immediatamente dopo il trattamento chemioterapico, tuttavia i dati raccolti non mostrano significatività statistica.

Nella Literature Review condotta da Chirico et al. (2016), tra i 19 studi esaminati 8 valutano l'efficacia della VR nel ridurre i sintomi di distress nelle persone sottoposte a trattamento chemioterapico.

Nonostante la variabilità delle scale di misura utilizzate nei diversi studi per valutare il distress psicologico, tutti gli 8 studi hanno dimostrato una riduzione di distress subito dopo le sedute di chemioterapia, anche se non sempre si dimostra una significatività dei risultati. Inoltre è risultata ridotta l'emesi ritardata (che si verifica dopo le 24h) e l'emesi anticipatoria (che si verifica, in pazienti con precedente esperienza di emesi chemiocorrelata, prima dei cicli successivi di chemioterapia). Questo sintomo è causato dalla vista e dagli odori degli ambienti in cui la persona effettuata la chemioterapia.

Schneider et al. nel 2007 hanno anche studiato l'alterazione della percezione del tempo nelle persone sottoposte a VR durante chemioterapia. A fine intervento sono stati interrogati i soggetti riguardo al tempo da loro stimato di durata della chemioterapia. I trattamenti chemioterapici in media sono durati 58 minuti, ma i partecipanti hanno riferito di aver percepito la chemioterapia come se avesse avuto una durata di 47 minuti. Si conferma quindi la capacità distrazionale della VR.

Nel 2011 è stato pubblicato un ulteriore studio di Schneider et al.: si tratta di un’analisi secondaria di tre studi (crossover) che ha prodotto un campione unico di 137 partecipanti (tra i 27 e i 78 anni) con 3 differenti diagnosi: cancro al seno, al colon e al polmone. Lo studio conclude che fattori come età, sesso, stato di ansia, fatigue e diagnosi di cancro influiscono sull'efficacia della VR in relazione alla ridotta percezione del tempo di durata della chemioterapia. I risultati mostrano che vi è una variazione dell'alterata percezione del tempo dovuta a VR in base alla diagnosi di cancro del soggetto sottoposto a chemioterapia con VR.

In media le sessioni di chemioterapia duravano 63 minuti, i soggetti con diagnosi di cancro al seno erano coloro che sottostimavano maggiormente il tempo trascorso (23 minuti) dall'inizio della chemioterapia abbinata a VR, soggetti con diagnosi di cancro al colon sottostimavano per 12 minuti e coloro che avevano diagnosi di tumore al polmone sottostimavano per meno di 4 minuti. Nello studio si ritiene che la diagnosi di cancro al polmone spesso è associata a sintomatologia negativa, fisica e psicologica più intense. Ciò comporta per la persona maggiori livelli di ansia, quindi viene riportato che alti livelli di ansia e sintomatologia più intensa riducono l'efficacia della VR come strumento distrazionale e di riduzione del tempo percepito, ma i risultati non sono statisticamente significativi. I risultati dello studio mostrano che il sesso invece non influenza significativamente la percezione del tempo trascorso dall'inizio della chemioterapia abbinata a VR. Ma la bassa percentuale di uomini rispetto alle donne nel campione limita la generalizzazione di questo risultato.

Anche nello studio pilota condotto da Schneider et al. (2003) viene dimostrata la relazione tra VR applicata durante la chemioterapia e riduzione del tempo percepito di durata della procedura. Nello studio, al termine della chemioterapia abbinata a VR, viene valutato il tempo percepito da ciascuna donna e i risultati riportano una media di 43 minuti, significativamente inferiore rispetto al tempo medio effettivo di durata della chemioterapia, stimato a 78 minuti.

Chirico et al. (2016) in uno studio pilota in cui vengono reclutate 47 donne di età 18-70 anni, affette da cancro al seno al secondo trattamento chemioterapico dopo l'intervento chirurgico, comparano l'efficacia della VR e della musico terapia (MT) nel ridurre il tempo percepito di durata della chemioterapia. Le donne sono state assegnate casualmente ad un gruppo oppure all'altro (VR=24; MT=23), per una durata effettiva del trattamento di 20 minuti. I risultati del ANOVA mostrato differenze significative nel tempo percepito tra il gruppo trattato con VR e il gruppo trattato con MT: i soggetti trattati con l'intervento VR durante l'infusione di chemioterapia sottovalutano il tempo effettivo trascorso, di conseguenza i soggetti trattati con l'intervento di MT sovrastimano il tempo effettivamente trascorso.

Nello studio pilota di Schneider et al. (2004) viene dimostrato in modo statisticamente significativo che il tempo percepito dai soggetti sottoposti a chemioterapia correlata a VR è di media sottostimato di 25 minuti. Anche se la durata media di tempo per un trattamento infusivo di chemioterapia con VR è stata di 67 minuti, il tempo medio stimato dai partecipanti era di 42 minuti. Questa differenza nella percezione del tempo è significativo con valore p < 0,001.

Conclusioni
I risultati degli studi suggeriscono che la VR è sempre stata ben tollerata dalle persone sottoposte a chemioterapia. Non sono stati riportarti episodi di cybersickness e quasi la totalità degli assistiti avrebbe voluto riutilizzarla. Inoltre non vi sono state difficoltà nell'utilizzo dei visori VR, nemmeno da parte della popolazione più anziana.

I risultati degli studi scientifici reperti sono promettenti, ma alcuni sono studi pilota con campioni poco numerosi e bassa significatività statistica.

La fatigue e il distress risultano ridotti dall'applicazione della VR alla chemioterapia e in uno studio in cui si valuta anche la nausea si dimostrano gli effetti positivi della VR nel ridurre l'emesi ritardata e anticipatoria, mentre i risultati che riguardano l'ansia sono talune volte contrastanti e non sempre statisticamente significativi, quindi non permettono una valutazione oggettiva dei dati.

Risulta invece ridotto in tutti gli studi il tempo trascorso percepito durante la chemioterapia con l'utilizzo della VR. Il tempo percepito è sempre mediamente inferiore al tempo effettivo di durata del trattamento: questo permette ai soggetti di tollerare meglio le sedute chemioterapiche e riduce l'impatto psicologico negativo, quindi la VR, favorendo l'adesione al regime chemioterapico, potrebbe avere un impatto positivo sulla sopravvivenza delle persone malate di tumore.

Sembrerebbe esserci una relazione tra il tipo di diagnosi di cancro e l'efficacia della VR nell'alterare la percezione del tempo trascorso: si suppone che questo sia correlato al livello di ansia iniziale, tanto che la VR risulta meno efficace con alti livelli di ansia dovuta ad una sintomatologia negativa più intensa.

I risultati di alcuni studi dimostrano che la realtà virtuale ha un effetto duraturo nel tempo, mantenendo livelli di ansia ridotti anche 48h dopo la chemioterapia, ma non in modo statisticamente significativo.

Grazie ai costi contenuti dei visori VR come il cardboard e la diffusione di massa degli smartphone, oltre che dei visori stessi, risulterebbe minimo l'investimento di risorse per l'utilizzo della VR nei vari contesti della sanità. Le ricerche di Consumer Electronics Association (CEA) prevedono infatti per il 2016 un incremento del 500% nelle vendite di visori per VR, con circa 1,2 milioni di unità e un fatturato sui 540 milioni di dollari (La Stampa, 2016).

Con la riduzione dei costi dei dispositivi VR, sarebbe possibile anche incrementarne la ricerca, utilizzando popolazioni più consistenti, in modo tale da ottenere dati sempre statisticamente significativi. Inoltre andrebbero investigati più nel dettaglio i fattori che possono influenzare l'effetto della realtà virtuale, come influiscono le diverse diagnosi di tumore, gli stati d'animo e i diversi ambienti virtuali, in modo da personalizzare la VR e renderla il più efficace possibile per ciascuna persona assistita.

La VR, agendo sia sulla dimensione biofisiologica che psicologica e potendo essere adattata alle esigenze personali e socio-culturali, può migliorare la qualità della vita delle persone assistite sottoposte a chemioterapia.
 

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Bibliografia

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