Il Transition of Care, l’infermiere e la continuità delle cure


Introduzione
La mancanza di un sistema che garantisca la continuità delle cure infermieristiche, a pazienti dimessi dall’ospedale al proprio domicilio, oppure verso altre specialità di cure, ha causato errori terapeutici nel 50,8% dei pazienti generando a sua volta una “frammentazione” delle cure stesse. Nel 22,9% dei casi questi errori sono stati gravi. Inoltre, il 30,3% di questi pazienti ha riportato un evento avverso da farmaco (Kripalani et al., 2012). In un contesto di necessità e di individuazione, di percorsi assistenziali che garantiscano un approccio integrato al paziente complesso, al contempo, dotati di un buon rapporto costo-efficacia, il concetto di “assistenza transazionale” (in inglese transitional care) gioca un ruolo di primaria importanza. Di fatto, il Transition of Care (ToC) è: l’insieme delle azioni volte a garantire il coordinamento e la continuità delle cure ricevute dal paziente trasferito al proprio domicilio o durante il trasferimento ad altri livelli di cura (Parry et al., 2008).

Un’altra definizione viene data da Randmaa e rispettivi collaboratori (Randmaa et al., 2014), essi affermano che per ToC applicato all’infermieristica si intende il ruolo dell’infermiere specializzato, e quindi adeguatamente formato, nella transazione/continuità delle cure da un contesto di cura (ambulatoriali di base, specialistiche ospedaliere, assistenza primaria, assistenza a lungo degenza, riabilitazione e assistenza domiciliare) ad un altro. Ognuno di questi spostamenti, da una specialità ad altra o al domicilio è definito “transazione di cura”.
Il ToC nasce per fornire supporto allo staff ospedaliero coinvolto nel processo di dimissione diminuendo di fatto le riammissioni negli ospedali, garantire la continuità assistenziale e, più in generale, per l’educazione dei pazienti alla sicurezza nella continuità della cura (Kangovi e Grande, 2014). Troppo spesso, questi ricoveri ospedalieri, sono il prodotto di un sistema sanitario frammentato (Hitch et al., 2016).

Un crescente gruppo di evidenze indica che i pazienti sono particolarmente vulnerabili, con esiti negativi durante queste riammissioni in ospedale (Gunadi et al., 2015). In questo contesto, l’assistenza infermieristica applicata al Toc risponde ad una triplice finalità: migliorare la qualità delle cure, migliorare la salute delle popolazioni e ridurre i costi (Randmaa et al., 2014).
Obiettivo di questo contributo è presentare una sintesi di alcuni articoli dalla letteratura che hanno approfondito la continuità delle cure infermieristiche a pazienti dimessi dall’ospedale al proprio domicilio oppure ad altre specialità di cure.

Revisione della letteratura
È stata effettuata una revisione della letteratura scientifica, consultando le banche dati PubMed, Cinhal e Science Direct. A causa della scarsità di ricerche sull’argomento, sono stati inclusi studi e articoli in lingua inglese dal 2006 ad oggi. Per individuare gli articoli che hanno indagato la continuità delle cure infermieristiche a pazienti dimessi dall’ospedale al proprio domicilio oppure ad altre specialità di cure, sono stati analizzati gli abstract ed Free full text disponibili, e solo successivamente recuperati i full text in biblioteca. Gli studi sono stati condotti in differenti paesi quali: Stati Uniti, Cina e Australia. I termini utilizzati sono stati: transitional of care, palliative care, respiratory failure, heart failure, diabetes, nurses, collaboration, continuity, transition, chronic illness, health care professional, continuity of care, discharge planning, readmissions.

Raccomandazioni emerse
Lo scopo di un recente studio, realizzato da Gunadi e collaboratori (Gunadi et al., 2015), è stato quello di ottimizzare la terapia farmacologica a pazienti con insufficienza cardiaca e quindi veicolare, attraverso le specifiche competenze tecniche e relazionali del ToC, proprie del Clinical Nurse Educator, un piano di educazione rivolto al paziente, per l’ottimizzazione dei piani di cura, con il fine di diminuire i tassi di riammissione per infarto miocardico in alcuni ospedali.
Uno dei fattori di rischio è stato quello dell’assunzione dei farmaci. La diminuzione di tali eventi avversi è diventato un obiettivo primario per il ToC. Si è avuta una riduzione significativa del tasso di riammissione per scompenso cardiaco (Figura 1), relativo all’abbassamento della percentuale di pazienti che entro 30 giorni dalla dimissione ne chiedevano la riammissione dal 17% (82 di 471 riammissioni) nel 2011, al 15% (76 su 498 riammissioni) nel 2013. Inoltre, in tutti i casi di riammissione si è avuto un miglioramento della patologia trattata, dal 8,9% (1.675 su 18.975 riammissioni) nel 2011 all’8,0% (1.516 su 19.043 riammissioni) nel 2013. 

Figura 1 – Riammissione dei pazienti con insufficienza cardiaca
(Tratto da Gunadi et al., 2015)

Figura 1 - Riammissione dei pazienti con insufficienza cardiaca

Gli argomenti di discussione e approfondimento con il paziente sono stati quelli di migliorare la consapevolezza della propria condizione: della patologia, dell’accaduto in ospedale e tutte quelle informazioni utili per il futuro, dopo il ritorno a casa.
Il sistema di controllo a domicilio ha consentito un riconoscimento precoce dei sintomi del peggioramento e di dare un all'allarme tempestivo da parte del Clinical Nurse Educator, piuttosto che lasciare i pazienti abbandonati a se stessi, i quali potrebbero presentarsi in Pronto Soccorso con un quadro di insufficienza ventricolare e quindi di scompenso cardiaco (Gunadi et al., 2015; Feitell et al., 2014).

Nei pazienti collaborativi, sono state fornite istruzioni sull'automonitoraggio quotidiano del peso corporeo, della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca e del controllo della glicemia nei diabetici. Sono stati esplicitati i piani di trattamento (farmaci, dieta, attività fisica) e di assistenza, allo scopo di ottenere la massima adesione alla terapia. Sono stati altresì elaborati schemi semplici per l'esecuzione della terapia e la registrazione (anche autogestita dal paziente) dei dati essenziali (peso, diuresi, parametri vitali, sintomi nuovi, intercorrenti o di aggravamento) e spiegati i vantaggi nell’assumere la terapia, i possibili effetti collaterali dei farmaci e le misure da adottare in caso di urgenze.
Inoltre, sono state valorizzate tutte le risorse esistenti (membri della famiglia o altri supporti formali) ai fini dell'assistenza, e sono stati raccomandati l'impiego di strumenti idonei a facilitare l'autogestione della malattia e l'elaborazione di opuscoli divulgativi finalizzati all'educazione sanitaria sullo scompenso cardiaco (Athilingam et al., 2016; Gunadi et al., 2015). I pazienti consapevoli sono stati in grado di gestire la terapia, e mettere in atto tutte quelle strategie volte a controllare i fattori di rischio modificabili per mantenere così un buono stato di salute prevenendo di fatto le riammissioni in ospedale, con una riduzione dei costi per il servizio sanitario (Glogowska et al., 2015; Gunadi et al., 2015; Rasmusson et al., 2015).

Secondo i risultati dello studio di Holmes-Walker e collaboratori (Holmes-Walker et al., 2007), la logica del ToC viene applicata per ottimizzare la terapia farmacologica nella gestione del diabete, delineando cosi, le questioni chiave da considerare, quando si utilizzano gli agenti ipoglicemizzanti in una popolazione costituita prevalentemente da pazienti giovani con un’età compresa dai 15 ai 25 anni, in quanto il passaggio da un ambiente ad un altro, aumenta il rischio di eventi avversi.
Gli autori hanno esaminato nell’arco di cinque anni pazienti con diabete mellito tipo 1. Prima dell’inizio dello studio, su un campione di 64 pazienti con chetoacidosi diabetica a domicilio, si sono avuti 28 episodi di riammissioni in ospedale. Il programma di transazione ha portato a un miglioramento del follow-up per i giovani reclutati; infatti vi è stata una riduzione statisticamente significativa dei tassi di riammissioni con chetoacidosi diabetica scesa ad 8 episodi di riammissioni nel solo primo anno dello studio.
In questi casi il “Nurse Educator” di transazione, ha delineato le strategie di comunicazione al domicilio del paziente, oltre a quelle basate sulla tecnologia come chiamate telefoniche, SMS, e mail con l’aumento dell’interazione operatore sanitario/paziente particolarmente efficace nel ridurre l’accesso al centro diabetologico. In particolare il paziente diabetico è stato educato ad: avere le abilità necessarie per effettuare la rilevazione della propria glicemia, e interpretare i risultati come base per intraprendere una azione, percepire i collegamenti tra specifici comportamenti (alimentazione, esercizio fisico) e i risultati della misurazione glicemica, prendendo da questi la motivazione al cambiamento dei comportamenti, mettere in atto autonomamente comportamenti correttivi, farmacologici e non, in risposta ai risultati delle misurazioni glicemiche, soprattutto per la prevenzione del rischio ipoglicemico.

In questo contesto, pianificare un piano strutturato di transazione, significa identificare: i bisogni del paziente con particolare attenzione allo sviluppo di un percorso educativo strutturato, assicurando il follow-up nella gestione del diabete.
Di particolare interesse è quanto riporta lo studio di Li e collaboratori (Li et al., 2014). I risultati riportano che il ToC supporta lo staff ospedaliero coinvolto nel processo di dimissione, riducendo le riammissioni di pazienti con insufficienza respiratoria. Tale modalità prevede di trasferire al domicilio la tecnologia (Emogasanalizzatore, spirometro portatile, saturimetro, poligrafo, personal computer, stetoscopio, sfigmomanometro, borsetta termica, siringhe eparinate, materiale da disinfezione) e le competenze pneumologiche specialistiche in modo da avere un continuo monitoraggio del paziente, e nello stesso tempo un’assistenza infermieristica e riabilitativa continua, con un miglioramento della qualità di vita a costi più bassi.
È previsto che al domicilio del paziente si rechi solo l’infermiere che compila la cartella infermieristica (saturimetria, pressione arteriosa, condizioni generali del paziente, ecc.) che viene poi consegnata al medico dell’equipe per gli opportuni adempimenti. L’utilizzo della succitata tecnologia è stata adottata anche da Cho e collaboratori (Cho et al., 2016), dove è stato confermato che la continuità delle cure al domicilio è stata associato alla diminuzione del 21% sul totale del rischio di mortalità. In questi casi il protocollo di follow-up domiciliare prevede l’accesso infermieristico con quattro livelli assistenziali.
Nel caso della bassa intensità assistenziale vengono eseguiti gli accertamenti diagnostici entro sette giorni dalla dimissione, nel caso della media intensità assistenziale, entro tre giorni dalla dimissione, nel caso di alta intensità assistenziale entro lo stesso giorno dalla dimissione; quando si verifica la disabilità totale del paziente è prevista la personalizzazione delle cure.

In tutti i casi vengono utilizzati dall’infermiere di riferimento gli strumenti idonei per la rilevazione dei paramenti quali, per esempio, saturazione ossigeno (SpO2), pressione arteriosa (P.A.) frequenza cardiaca (F.C.), prelievo arterioso (EGA), la pulsossimetria diurna, controllo polisonnagrafia notturna, controllo eventuale della cannula tracheale, scheda di rilevamento dell'adesione alla terapia. (Cho et al., 2016; Li et al., 2014).

I risultati dello studio di Halasyamani e collaboratori (Halasyamani et al., 2006) hanno enfatizzato la logica del ToC in pazienti anziani con patologie cardiache e polmonari, attraverso l’introduzione di una check list consegnata al personale infermieristico che si occuperà delle cure domiciliari. La check list è stata realizzata dagli autori, come punto di partenza di un progetto il cui scopo è di prevenire la “frammentazione” delle cure.
Vi sono esplicitati i piani di trattamento per quello che riguarda l’assunzione dei farmaci, allo scopo di ottenere la massima adesione alla terapia. Vengono richiesti i contatti telefonici del personale infermieristico da contattare per l’assistenza domiciliare, oltre alla valorizzazione delle altre risorse quali, i caregiver ai fini dell'assistenza. Vengono indicati, l'impiego di strumenti idonei a facilitare la gestione della malattia al domicilio come saturimetro e rilevazione della pressione circolatoria. Particolare attenzione viene posta ai farmaci ad alto rischio, prescritti dal personale medico, che richiedono una più stretta gestione da parte del personale infermieristico al domicilio durante il follow-up come: diuretici, corticosteroidi, ipoglicemizzanti e analgesici, con una apposita scheda dove viene indicato lo scarico del vecchio farmaco il “nuovo", il "modificato" o "l’interrotto".

Nella check list viene segnalata la necessità di un appuntamento di follow-up entro al massimo 2 settimane dopo la dimissione. In questi casi l’infermiere di transazione, delinea le strategie di comunicazione basate sulla tecnologia come chiamate telefoniche, fax e sms con l’aumento dell’interazione operatore sanitario/paziente risultando particolarmente efficaci nel ridurre l’accesso ospedaliero.
In questo contesto, pianificare un piano strutturato di transazione, può significare identificare: i bisogni del paziente con particolare attenzione allo sviluppo di un percorso educativo strutturato, assicurando il follow-up, evitando la “frammentazione” delle cure e ridurre riammissioni inutili negli ospedali.

La capacità dei familiari di fornire cure ai propri cari è una questione importante nel contesto delle cure palliative a domicilio. È stato appurato che l’assenza di un sistema che garantisca la visita dell'infermiere palliativista al domicilio del paziente non garantisce il raggiungimento della miglior qualità di vita possibile (Miyashita et al., 2008).
La riduzione della qualità di vita è causata da idee sbagliate circa la gestione della terapia quale quella dei farmaci in particolare degli oppioidi, l’idratazione ed alimentazione artificiale. Inoltre, i pazienti che ricevono assistenza infermieristica al proprio domicilio, hanno cinque volte meno la probabilità di essere ricoverati in ospedale, da parte di un proprio familiare, che in questo contesto, vive una condizione di ansia e di timore per il proprio congiunto. È provato che l’infermiere palliativista che pratica le cure al domicilio contribuisce a ridurre i ricoveri ospedalieri dell’80% (Barrett et al., 2009). La qualità di vita aumenta dal 9% al 34% dopo l’introduzione delle visite infermieristiche domiciliari (Miyashita et al., 2008).
I risultati dello studio di Ingleton e collaboratori (Ingleton et al., 2011), hanno enfatizzato la logica del ToC in pazienti con cure palliative al proprio domicilio. Sono stati inclusi nella sperimentazione infermieri e infermieri coordinatori, impiegando anche assistenti sanitari sotto la supervisione del personale infermieristico.
Nella sperimentazione sono stati introdotti piani di assistenza per diverse attività quali, per esempio, le prescrizioni mediche per la somministrazione dei farmaci per la gestione del dolore e degli altri sintomi, con particolare attenzione alla gestione dei sistemi di infusione da parte del personale infermieristico come gli elastomeri e le pompa siringa; il piano per il bisogno di alimentazione, in quanto la persona malata non ha bisogno di pasti abbondanti, data la ridotta attività fisica che ne diminuisce il fabbisogno; il piano per il bisogno d’igiene personale realizzati dagli assistenti sanitari sotto la supervisione dell’infermiere, il piano di assistenza per i cambi posturali ed il trattamento delle eventuali lesioni da pressione e il piano di assistenza per la cura dell’igiene orale per prevenire la mucosite. In questo contesto è stata garantita la continuità assistenziale infermieristica nelle cure di fine vita, oltre ad una riduzione dei costi a carico del servizio sanitario.
I risultati dello studio di Kessler e collaboratori (Kessler et al., 2013) mettono in evidenza che il ToC infermieristico migliora la sicurezza del paziente. Gli autori descrivono, il passaggio del paziente, da una specialità di cura ad altra.

La prima fase è stata "lo stadio della preparazione", si tratta in realtà del passaggio delle consegne infermieristiche, indispensabile per trasmettere le informazioni sulle condizioni del paziente, sul trattamento e sui bisogni attesi, basato sulla necessità di avere uno spazio dedicato privo di interruzioni.

La seconda fase, è l’assemblaggio della “squadra di cura", formata da infermieri e altri operatori in modo da fornire ed ottenere informazioni complete riguardanti lo stato corrente del paziente e garantire che tutti gli operatori condividano le informazioni cliniche riguardanti la pianificazione infermieristica.

La terza fase, è stata l'identificazione del ToC di pazienti ad alto rischio, affrontando le principali preoccupazioni di tutta la “squadra di cura", per la sicurezza del paziente.

La quarta fase, ha richiesto l'uso di un metodo standardizzato per ridurre errori e migliorare la comunicazione come la Situation-Background-Assessment-Recommendation (SBAR) (Tabella 1). Si tratta di uno strumento ampiamente validato in letteratura, in uso oggi in gran parte delle aziende sanitarie (Whittingham e Oldroyd, 2014; Randmaa et al., 2014; De Meester et al., 2013).

Tabella 1 – I contenuti dello strumento SBAR
(Taratto da: Institute for Innovation and Improvement 2016)

Situation: Situazione

Chi, dove, cosa sta succedendo al paziente, consiste nell’identificazione del paziente e un rapido inquadramento della situazione.

Background: Contesto

Qual è il contesto clinico? Consiste in una rapida panoramica sull’anamnesi del paziente, le terapie, gli interventi e i dati clinici più rilevanti.

Assessment: Valutazione

Parametri vitali, segni e sintomi, presidi usati, farmaci somministrati, breve esposizione di ciò che si pensa stia accadendo.

Reccomendation/Request: Raccomandazione/Richiesta

Tutto ciò che deve essere fatto o che si richiede, o cosa si ritiene necessario fare per risolvere il problema (problemi aperti).

La quinta e ultima fase, "chiusura del cerchio" consiste nel fornire eventuali chiarimenti tra i componenti della squadra, per identificare pazienti che devono essere immediatamente assistiti.
In questo contesto, il passaggio delle informazioni, garantisce la continuità delle cure infermieristiche, indispensabile per trasmettere delle informazioni sulle condizioni del paziente, sul trattamento e sui bisogni attesi. Può rivelarsi inefficace o addirittura dannosa se le informazioni sono incomplete oppure omesse (Iavarone, 2014). Dopo l’introduzione dello strumento SBAR, la percentuale di incidenti a causa di errori di comunicazione è diminuita significativamente nel gruppo di intervento, dal 31% al 11% (Randmaa et al., 2014).

Conclusioni
L’analisi della letteratura ha evidenziato forti evidenze del ruolo chiave dell’infermiere nel ToC di un paziente. L’infermiere specializzato, ed adeguatamente formato, risulta essere il vero fulcro nella transazione/continuazione delle cure al paziente, sostenendolo nelle decisioni, nelle terapie, nei rapporti con i medici e le strutture sanitarie nella gestione delle patologie croniche, particolarmente diffuse come diabete, scompenso cardiaco, insufficienza respiratoria e organizzazione delle cure palliative sul territorio.
È stato inoltre dimostrato che dopo la dimissione, i pazienti che hanno avuto un piano di educazione dal Clinical Nurse Educator, sono stati in grado di gestire la terapia, di mettere in atto tutte quelle strategie volte a controllare i fattori di rischio modificabili e di mantenere così un buono stato di salute.
I risultati suggeriscono che la continuità delle cure infermieristiche a pazienti dimessi dall’ospedale al proprio domicilio oppure ad altre specialità di cure è importante, in quanto permette di prevenire gli errori terapeutici, la “frammentazione” delle cure stesse, le riammissioni ospedaliere migliorando la qualità di vita a costi più bassi.
Inoltre, viene consentita la pianificazione dell’assistenza su specifiche azioni volte al miglioramento delle condizioni della persona assistita. A tal fine, risulterebbe utile promuovere un’indagine per misurare la qualità di vita nelle persone dimesse dall’ospedale al proprio domicilio oppure ad altre specialità di cure in modo da implementare il personale infermieristico specializzato.
 

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Bibliografia

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