Il suicidio nelle persone con disturbi psichici, le scale di valutazione uno strumento di prevenzione


Suicidio e disturbi psichici
Il suicidio rappresenta una questione di primaria importanza per la sanità pubblica sia a livello internazionale, in quanto i decessi per suicidio sono più di 800.000 ogni anno sia per l’UE, con un tasso di prevalenza medio di 13,9 per 100.000 abitanti (OMS, 2013). L’Italia ha registrato 3048 suicidi nel 2010 (Istat, 2010).
La maggioranza dei suicidi avviene tra i 15-44 anni e i tentativi di suicidio risultano essere più frequenti dei suicidi. In Italia la propensione al suicidio è tripla nel sesso maschile, con una prevalenza nel Nord e i più colpiti sono i soggetti con un livello di scolarità medio – basso. Le modalità prevalenti di suicidio sono: impiccagione, soffocamento o precipitazione (Istat, 2009).
E’ doveroso mettere in luce che più del 90% delle persone che commettono un suicidio sono affette da disturbi psichici (Lyons et al., 2000). I più frequenti sono i disturbi dell’umore, i disturbi legati all’abuso di alcol e di sostanze stupefacenti, la schizofrenia, i disturbi bipolari, i disturbi dell’alimentazione e i disturbi d’ansia (Dumon et al., 2014). Tra i soggetti schizofrenici il 20-42% tenta il suicidio e di questi, 10-15% lo porta a compimento (Preston et al., 2005).
Tuttavia il suicidio è un fenomeno sottostimato a causa dell’interazione di fattori biologici, genetici, psicologici, sociali, ambientali e situazionali che influenzano i comportamenti suicidari (Dumon et al., 2014).

Alla luce delle premesse introduttive, la prevenzione di suicidio e mancato suicidio appare oggetto di attenzione crescente attraverso lo sviluppo di azioni e strategie dirette a incrementare la salute mentale e a diminuire il numero di suicidi (Dumon et al., 2014).
Una delle strategie per migliorare l’accertamento del rischio di suicidio è la valutazione delle caratteristiche psicometriche del soggetto attraverso l’utilizzo delle scale (Healy et al., 2006), in quanto Cutcliffe et al. (2004) hanno dichiarato che l’accertamento non possa più essere affidato esclusivamente alla sensibilità di chi accoglie la persona nell’unità operativa, ma è necessario uno strumento che supporti l’accuratezza del giudizio espresso. Poiché il suicidio è un fenomeno complesso e poliedrico è richiesta una risposta multiprofessionale e multidimensionale per fronteggiarlo. 

La revisione della letteratura
Per verificare l’esistenza, la modalità di applicazione e la validità di scale che l’infermiere può utilizzare per valutare il rischio e l’intenzionalità di suicidio in persone affette da disturbi psichici è stata effettuata una revisione della letteratura. Il quesito clinico è stato strutturato utilizzando il metodo PpIO (Tabella 1).

Tabella 1 - Quesito clinico

Le banche dati consultate nel periodo compreso tra febbraio e marzo 2015 sono state PubMed, Cinahl e TRIPDatabase. Inizialmente sono stati utilizzati come MeSH in PubMed e come headings in Cinahl i seguenti termini: suicide, assessment scale, psychiatric disorders, nurses’ role, prevention e suicide risk. Per TRIPDatabase è invece stato utilizzato il metodo PpIO.
I criteri di inclusione sono stati l’anno di pubblicazione non antecedente al 1997 e una popolazione di riferimento di età compresa tra 18 e 65 anni. Complessivamente sono state selezionate 23 fonti:
17 da PubMed, 3 da Cinahl e 3 da TRIPDatabase.
Inoltre, sono state reperite 6 documenti tra revisioni sistematiche e linee guida e 17 fonti riferibili alla letteratura primaria (studi/articoli singoli). 

Le scale individuate
La scala che ha risposto in maniera più precisa al quesito clinico è la Nurses’ Global Assessment of Suicide Risk (NGASR) (Tabella 2) che comprende 15 item il cui score viene raccolto dagli infermieri al momento del ricovero, ottenendo così una valutazione accurata dell’intenzionalità di suicidio (Cutcliffe et al., 2004). 

Tabella 2 – La Nurses’ Global Assessment of Suicide Risk (NGASR)

Predictor variable

Value

Presence/influence of hopelessness

3

Recent stressful life event, for example, job loss, financial worries, pending court action

1

Evidence of persecutory voices/beliefs

1

Evidence of depression/loss of interest or loss of pleasure

3

Evidence of withdrawal

1

Warning of suicidal intent

1

Evidence of a plan to commit suicide

3

Family history of serious psychiatric problems or suicide

1

Recent bereavement or relationship breakdown

3

History of psychosis

1

Widow/widower

1

Prior suicide attempt

3

History of socio-economic deprivation

1

History of alcohol and/or alcohol misuse

1

Presence of terminal illness

1

 
Lo score ottenuto rappresenta un aiuto per gli infermieri meno esperti. Grazie alla NGASR l’infermiere è in grado di formulare un oggettivo giudizio clinico per valutare correttamente il rischio di suicidio, basato non soltanto sulla percezione soggettiva dell’esaminatore.
La NGASR, proposta in un centro di salute mentale in UK, nasce dalla necessità di uno strumento che dimostri come più variabili influenzino positivamente il rischio di suicidio e conseguentemente ciascun item ha un valore compreso tra 1 e 3 a seconda della sua maggiore predittività.
Analizzando i 15 item della scala il primo dimostra che la disperazione associata ad uno stato di depressione, piuttosto che uno stato di depressione in sé, indica un più alto rischio di suicidio (Cutcliffe et al., 2004).

Le situazioni di vita stressanti tendono a consumare le risorse che un individuo ha per affrontarle, suscitando un istinto suicidario come via di fuga. Se da una parte allucinazioni uditive o credenze persecutorie possono alimentare il senso di disperazione di un soggetto, spingendolo a commettere gesti autolesivi, dall’altra la verbalizzazione di un’intenzione di suicidio spesso non è seguita dalla sua attuazione, nonostante esprima la richiesta di aiuto del soggetto.
Perdita d’interesse e piacere associate a un disturbo psichico sono positivamente correlate a un aumentato rischio di suicidio, mentre segni di malessere psichico che possono incrementare il rischio di suicidio sono l’isolamento sociale e la chiusura in sé stessi.
L’evidenza di un piano specifico, soprattutto se tenuto segreto, il commettere suicidio rappresenta un fattore di rischio maggiore (Cutcliffe et al., 2004).
La familiarità per disturbi psichici è rilevante, ma un recente lutto o la fine di una relazione sono considerati più significanti. Se il soggetto è vedovo/a o ha una storia di psicosi il rischio appare essere leggermente aumentato. Un precedente tentativo di suicidio è più fortemente correlato con un nuovo tentativo piuttosto che un background di deprivazioni socio-economiche, una patologia terminale e l’abuso di alcol.
Dalla compilazione della NGASR risulta un punteggio che evidenzia il livello di rischio, il quale determina il successivo coinvolgimento degli operatori sanitari (Cutcliffe et al., 2004).
Al fine di poter considerare la NGASR uno strumento di valutazione clinicamente utile, la scala è stata inclusa fin dal 2000 sia in UK sia in altri stati come componete del profilo di rischio di suicidio del Tidal Model, un approccio al ricovero basato sulla centralità della persona.
Ne è emerso che la NGASR risponde in maniera globale e evidence-based nel valutare i fattori che appaiono correlati con il rischio di suicidio.
LA NGASR è stata usata all’interno del Tidal Model con due scopi differenti: guida e modello di riferimento per l’intervista tra infermiere e persona assistita o, nel caso in cui il soggetto sia non collaborante o incapace di partecipare al colloquio, come base di valutazione per i professionisti sanitari.
Lo score ottenuto dalla compilazione di una scala di valutazione per il rischio di suicidio non riflette però la dinamicità dei comportamenti suicidari. Una valutazione olistica continua permetterebbe agli infermieri di inquadrare meglio il soggetto (Lyons et al., 2000).
Le scale di valutazione possono essere strumenti utili nella pratica clinica, ma questo non può prescindere dalla valutazione continua e da una pianificazione infermieristica volta a prevenire e contenere il rischio di suicidio nei soggetti a rischio.

La Beck Scale for Suicide Ideation (SSI) è un questionario di autovalutazione composto da 19 item.

La Suicide Intent Scale (BSIS) è invece costituita da 15 item e divisa in una sezione oggettiva che valuta le circostanze che hanno portato al gesto e una soggettiva che indaga la percezione che del gesto ha il soggetto stesso.
Entrambe le scale considerano l’intenzionalità di suicidio in soggetti che l’hanno precedentemente tentato o mancato, fallendo però nel loro intento (Stefansson et al., 2012). Per la loro diffusione sia la SSI sia la BSIS sono state utilizzate per comparare la percezione che del gesto hanno i soggetti stessi e il personale sanitario, mettendo in luce come quest’ultimo spesso sottovaluti il rischio di suicidio nelle persone con un disturbo psichico (Hatcher et al., 2014).
Alti punteggi nella BSIS dimostrano un’aumentata probabilità di suicidio confermando che le informazioni riguardanti l’intenzionalità di suicidio sono necessarie per la gestione del rischio (Harriss et al., 2005). La BSIS è stata utile per l’analisi della componente psicologica: persone disperate e depresse che non esprimono il loro malessere presentano un maggior rischio di tentativi di suicidio letali (Horesh et al., 2011).

L’International Suicide Prevention Trial–Scale for Suicidal Thinking (InterSePT-ISST), costruita sulla base della SSI è uno strumento per verificare quale terapia farmacologica sia più efficace nella riduzione del rischio di suicidio nei soggetti affetti da schizofrenia o da un disturbo schizoaffettivo.

La Calgary Depression Scale (CDS) attraverso i suoi 9 item considera come la depressione sia positivamente correlata con l’incremento di suicidio in soggetti schizofrenici.

La Positive and Negative Syndrome Scale (PANSS) è una scala che permette di valutare i sintomi negativi, positivi e generali della schizofrenia. Gli score della PANSS e della CDS sono stati sfruttati da PješÄić et al. (2014) per dimostrare come la solitudine, l’isolamento sociale e la mancanza di un supporto familiare influenzino il rischio di suicidio in soggetti depressi e schizofrenici.

La Columbia Suicide Severity Rating Scale (C-SSRS) si propone di individuare atteggiamenti precursori di un tentativo di suicidio.

La Sheehan Suicidality Tracking Scale (S-STS) comprende 8 item; può essere compilata dal medico o dal soggetto e valuta pensieri o comportamenti derivanti dall’intenzione di suicidio.
La C-SSRS, la ISST e la S-STS sono state utilizzate per analizzare come la mancanza di speranza e l’impulsività possano essere positivamente associate con l’aumento dei tentativi e dell’ideazione di suicidio (McCullumsmith et al., 2014).

Constatato che il rischio di suicido dopo un fallito tentativo è più elevato durante il primo anno (Niméus et al., 2000), la Suicide Assesment Scale (SUAS) è stata sviluppata per valutare i cambiamenti nell’intenzionalità suicidaria. Ne esiste anche una versione di auto compilazione, la SUAS – Self Rating. Sono stati considerati tre criteri nella sua progettazione: la possibilità di accertare la sintomatologia osservabile e quella riferita riguardante il suicidio, la mancanza di una diagnosi specifica e la capacità di essere sensibile al cambiamento dell’intenzione di suicidio nel tempo.
Le due varianti della scala dimostrano che tutte le malattie psichiche e non solo la depressione sono correlate con un aumento del suicidio.
La Risk Assessment Scale (RASS) è stata progettata per accertare il rischio di suicidio nella popolazione generale così come nei soggetti affetti da un disturbo psichico. Secondo Fountoulakis et al. (2012) è uno strumento che può essere sfruttato per rilevare fattori di rischio primari (presenza di malattie mentali, patologie debilitanti gravi e precedenti tentativi di suicidio), secondari (situazioni di vita avverse, e fattori di rischio psicosociali) e terziari (sesso ed età) che possono influenzare il rischio di commettere suicidio. La RASS si dimostra in grado di delineare il rischio di suicidio solo qualora ai fattori di rischio secondari e terziari siano compresenti quelli primari.
La Borderline Evaluation Severity over Time (BEST) è una scala di autovalutazione che misura la severità e i cambiamenti di comportamento nelle persone affette da un disturbo di tipo borderline. 

Considerazioni
La maggior parte del materiale che si riesce a reperire nelle banche dati è principalmente a uso dei medici o, nella migliore delle ipotesi, si presenta come una scala che possa essere sfruttata da un qualsiasi professionista sanitario. Fatta eccezione per la NGASR, nessuna è esclusiva per il personale infermieristico.
La scala di maggior interesse è quindi la NGASR: in ambito ospedaliero la valutazione del soggetto con ideazione di suicidio non può più essere affidata soltanto alle sensazioni e percezioni del professionista che accoglie la persona all’interno dell’unità operativa.
Negli anni è cresciuta la consapevolezza che l’esperienza e l’occhio clinico debbano essere affiancati da uno strumento che offra maggiore obiettività nella valutazione e la NGASR risponde a questa necessità.
A parere di Cutcliffe et al. (2004) il costante miglioramento di competenze e conoscenze è indispensabile per chi lavora in ambito di salute mentale: il fenomeno del suicidio si presenta con differenti sfumature a seconda del soggetto che lo mette in atto e questo richiede all’operatore capacità di adattamento a differenti circostanze. La SSI e la BSIS risultano essere gli strumenti migliori anche se più datati nella valutazione dell’intenzionalità e dell’ideazione di suicidio.
La BSIS è largamente sfruttata perché progettata per esaminare i pensieri, le sensazioni e le circostanze al momento del mancato suicidio.
La SSI si presta facilmente a essere rimodellata sotto diversi punti di vista e perciò ne esistono diverse versioni. Il limite della scala è però quello di non essere a uso esclusivo degli infermieri, ma si potrebbe pensare a una versione ad hoc.
Benché la SSI sia considerata uno strumento efficace per la prevenzione del suicidio, offre tuttavia una visione generale della valutazione del rischio senza entrare nello specifico della distinzione tra i soggetti affetti da differenti patologie.
A questo scopo rispondono altre scale. In primo luogo la ISST che, pur derivando dalla SSI, appare ottima nell’accertamento dell’intenzionalità di suicidio per i soggetti schizofrenici o con disturbo schizoaffettivo di personalità (Preston et al., 2005). Segue poi la CDS il cui punteggio è di supporto al processo decisionale per l’imminente prevenzione del suicidio o per la scelta di un ricovero ospedaliero, mettendo in luce la tendenza alla depressione dei soggetti schizofrenici.
L’utilità per i professionisti sanitari della C-SSRS, della PANSS e della S-STS emerge in circostanze distinte; la prima permette d’individuare come impulsività e disperazione rappresentino le due inclinazioni caratteriali che spingono maggiormente un individuo verso il suicidio, la seconda rileva i sintomi positivi e negativi della schizofrenia e la terza è sfruttata per monitorare i comportamenti suicidari (Sheenan et al., 2014).
Niméus et al. (2006) hanno definito che la SUAS, nelle sue due versioni, dimostra come le persone affette da un qualsiasi disturbo psichico siano più a rischio, rispetto a un soggetto sano, di commettere suicidio.
Alla base dell’intenzionalità di suicidio risiedono alcuni fattori di rischio imprescindibili che influenzano il soggetto; il punteggio ottenuto dalla compilazione della RASS permette di valutare quali siano i più influenti (Fountoulakis et al., 2012).

Conclusioni
Nonostante l’alto numero di scale si può ritenere che una singola scala non sia la miglior prospettiva per analizzare tutti i fattori rilevanti per una valutazione corretta di un soggetto con intenzioni di suicidio. Trattandosi di un fenomeno multifattoriale, nella valutazione del rischio di suicidio vanno considerate la componente psichica, psicologica e sociale per delineare un quadro completo del gesto che il soggetto ha intenzione di compiere.
La numerosità di scale di valutazione potrebbe anche essere vantaggiosa: può essere estremamente d’aiuto al professionista sanitario poiché gli è richiesto di adattare atti e azioni e di mettere in gioco differenti risorse a seconda della situazione.
E’ indiscutibile, quindi, l’importanza di scale di valutazione che siano utili ed efficaci nell’accertamento dell’intenzionalità di suicidio. Va però sottolineato che la valutazione di un soggetto a rischio non può avvenire esclusivamente basandosi sul punteggio ottenuto da una scala: non può prescindere infatti dall’esperienza, dalla componente clinica e dalla storia personale del soggetto.
La revisione della letteratura effettuata presenta tuttavia alcuni limiti: una popolazione di riferimento troppo ampia, la scarsità di scale esclusivamente a uso infermieristico e la mancanza di scale per i soggetti con una diagnosi di disturbo psichico di personalità.
 

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