L’Infermiere di famiglia e di comunità: la formazione di questa nuova figura presso l’Università di Torino e l’Università del Piemonte Orientale (UPO)


Nei contesti delle società postindustriali, sempre più complesse esigenze di cura personale emergono dalle condizioni di handicap, disabilità, non autosufficienza, patologia mentale, emarginazione, così come dai nuovi rischi sociali e dalle cosiddette “nuove povertà” psicorelazionali. Strette fra l’aumento oggettivo dei bisogni (si pensi solo alle incombenti domande di assistenza per la quarta età) e le crescenti aspettative di nuovi servizi e di una migliore qualità delle prestazioni, le tradizionali burocrazie assistenziali, ed i loro modelli organizzativi, sembrano destinati a profonde riorganizzazioni, pena il rischio di rapida obsolescenza.

Folgheraiter F., Donati P

 

Premessa
Il documento “Health 21” elaborato nel 1998 dalla sede europea dell’Organizzazione mondiale della Sanità nasce con l’intento di fornire “il quadro di riferimento” in tema di politiche e strategie sanitarie ai 51 stati membri del Comitato Regionale OMS Europa.
Tra i 21 obiettivi per il XXI secolo, al fine della presente trattazione merita particolare menzione l’obiettivo numero 18, nel quale viene sostenuta la garanzia che i professionisti della sanità acquisiscano entro l’anno 2000, conoscenze, atteggiamenti e capacità adeguate a proteggere e promuovere la salute. Medici e infermieri, che lavorano in ambito comunitario, vengono definiti “il perno della rete dei servizi”: in particolare, l’infermiere di famiglia e comunità è la nuova figura pensata per rispondere a questa sfida.
Per definizione il “nuovo infermiere” è colui che aiuta gli individui ad adattarsi alla malattia e alla disabilità cronica o nei momenti di stress, trascorrendo buona parte del suo tempo a lavorare a domicilio della persona assistita e della sua famiglia.

L’obiettivo è quello di mantenere, e migliorare nel tempo, l’equilibrio o lo stato di salute della famiglia, aiutandola a evitare le minacce alla salute o ad adattarvisi. Sotto il profilo organizzativo il modello prevede che l’infermiere di famiglia sia responsabile di un gruppo predefinito di “famiglie”.

L’infermiere di famiglia dovrebbe agire sostanzialmente nelle seguenti aree:

  1. prevenzione primaria, cioè riduzione dei fattori di rischio di malattia attraverso l’educazione sanitaria su dieta, uso di alcool e tabacco, attività fisica, la riduzione dei fattori di rischio di incidenti domestici ecc.;
  2. prevenzione secondaria, attraverso la promozione di test ed esami mirati a diagnosticare precocemente le malattie;
  3. prevenzione terziaria, concetto che racchiude tutti gli interventi utili ad evitare le riacutizzazioni di malattie croniche, inquadrabili nel modello del Chronic care model;
  4. interventi di assistenza infermieristica diretta in caso di necessità, ad esempio contestuali alla visita programmata.

La base normativa della figura dell’infermieristica di famiglia in Italia è la “legge Balduzzi”, con cui si apre per il nostro sistema sanitario nazionale la stagione della “riorganizzazione delle cure primarie”. Per cure primarie, in sintesi, s’intende, il primo contatto delle persone, della famiglia e della comunità con il Servizio Sanitario: le cure domiciliari, l’assistenza di medicina generale, l’assistenza pediatrica e consultoriale, le prestazioni di specialistica ambulatoriale, i servizi rivolti agli anziani e ai disabili adulti.
In questo ambito svolgono un ruolo determinante i medici di medicina generale, i medici di continuità assistenziale, i pediatri di libera scelta e di comunità e il personale infermieristico, che operano integrandosi con altri professionisti, al fine di garantire una adeguata risposta assistenziale ai cittadini.

I servizi territoriali dovrebbero interagire sinergicamente con i servizi ospedalieri, integrandosi, ma spesso si osserva una parcellizzazione della risposta assistenziale, molto evidente e sofferta in talune Regioni italiane più che in altre, che è tale anche perché non risulta allineata a quei dati epidemiologici che vedono in costante crescita le patologie cronico-degenerative.

Il percorso formativo
Partendo da queste premesse, la regione Piemonte ha intrapreso la progettazione e implementazione di un percorso formativo di primo livello per la figura dell’IFEC, presso due Atenei, l’Università degli studi di Torino (sede formativa Orbassano, prima edizione di master anno 2005) e l’Università del Piemonte Orientale (sede formativa di Tortona: prima edizione di master anno 2014). Più nello specifico, le motivazione di queste iniziative sono da ricercarsi a più livelli:

  • miglioramento della qualità dell’assistenza erogata attraverso l’inserimento di un professionista capace di aiutare a prevenire i problemi di salute, di educare le persone alla scelta di stili di vita sani, di sostenerle nel potenziamento delle proprie capacità di autocura e di risoluzione dei problemi e a utilizzare al meglio le risorse sociali e sanitarie disponibili;
  • riorganizzazione della rete territoriale ospedaliera e contestuale esigenza di implementare l’attività territoriale con l’inserimento di un professionista con competenza infermieristiche avanzate, capace d’integrarsi con altri professionisti;
  • recepimento di indicazioni europee a livello regionale.

Per queste ragioni, il piano di studi è stato delineato di concerto su entrambe le sedi, sulla scorta del documento Health 21, in particolare del quadro concettuale a cui il documento fa riferimento. Si tratta di un percorso di Master di I livello, annuale, che eroga 60 CFU. Le ore complessive di formazione previste sono circa 1500, di cui 500 di stage/tirocinio in contesti specifici. Il percorso prevede sei moduli formativi, al termine di ognuno dei quali è prevista una prova d’esame scritta con valutazione in trentesimi.

Alcuni dei temi caratterizzanti il percorso formativo, sia nella sua componente d’aula, sia nell’ambito del tirocinio sono:

  • l’azione proattiva;
  • la prevenzione a tutti i livelli e per ogni fascia d’età;
  • l’educazione e stili di vita sani;
  • il diseases management;
  • il counseling individuale e familiare;
  • il case management;
  • la gestione integrata delle malattie croniche;
  • l’autonomia professionale e l’interprofessionalità.

Il tirocinio formativo rappresenta poi un momento particolarmente delicato per il master proposto. Consiste in alcune esperienze sul campo, durante le quali i tirocinanti sono affiancati da personale specializzato.
Il modello organizzativo/assistenziale di riferimento è il Chronic Care Model, sulla cui base l’infermiere di famiglia può agire con un ampio margine di autonomia, soprattutto per quanto riguarda la promozione della salute o la presa in carico di pazienti con patologie croniche in fase iniziale, attuando una corretta educazione terapeutica e il supporto al self management. Il predetto modello, nell’approccio della patologia cronica sintomatica o grave, prevede invece un minor livello di discrezionalità dell'infermiere, il quale effettuerà, pur mantenendo un certo margine di autonomia, un maggior numero di interventi su prescrizione medica.

Sono ormai numerosi gli studi che hanno valutato l’impatto sulla salute di una organizzazione sul territorio di gestione dei pazienti con patologie croniche: una revisione della letteratura comprensiva di studi internazionali e italiani, ha evidenziato un costo/efficacia vantaggioso per l'assistenza domiciliare rispetto all’ospedalizzazione.

Riflessioni conclusive
Va sottolineato come lo sforzo fatto in questi anni, non si sia soffermato unicamente ad azioni “didattiche”, che ha portato attualmente alla formazione di circa 150 professionisti tra le due sedi, ma sia stato anche quello di costruire sinergie con le istituzioni locali, con il mondo dei servizi, con tutti gli attori professionali e volontari della comunità, al fine di favorire la promozione di questa nuova figura e migliorare significativamente il sistema di cure.

In questo quadro si pone anche il progetto CONSENSO che la Regione Piemonte ha elaborato, ottenendo un finanziamento europeo (Co.n.s.e.n.so.: COmmunity Nurse Supporting Elderly iN a changing SOciety); il progetto prevede la sperimentazione dell’infermiere di famiglia e di comunità in alcuni territori piemontesi, liguri, francesi, sloveni e austriaci e una valutazione del suo effetto su outcome organizzativi e di salute. L'obiettivo di CONSENSO è aiutare gli anziani a vivere autonomamente nel proprio domicilio il più a lungo possibile: si tratta del modello di presa in carico di una fascia di popolazione sempre più rilevante, incentrato sulla figura professionale dell’infermiere di famiglia e comunità.

Il progetto, co-finanziato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale nell’ambito del programma Interreg Spazio Alpino 2014 – 2020, vede coinvolti attori nazionali, regionali e locali nella realizzazione di iniziative a carattere transnazionale per lo sviluppo sostenibile e inclusivo dell’area alpina.

Ci auguriamo che CONSENSO fornisca dati utili al livello regionale e nazionale che siano un segnale di riconoscimento degli sforzi fatti finora, e contemporaneamente uno stimolo per la costante ricerca del miglioramento della qualità dell’assistenza fornita e dell’incessabile ricerca di sinergia tra le istituzioni coinvolte.
 

Segnalazione

Come segnalato dagli Autori, si precisa che il lavoro su "Infermiere case manager in salute mentale: benefici per i pazienti misurati attraverso la scala HoNOS" di Ione Moriconi, Teresa De Paola, Gennaro Rocco, Alessandro Stievano, Carlo Turci, pubblicato su L'Infermiere N°2 – 2016 nella sezione Contributi, è stato realizzato con il contributo di Giuseppe Carbut (SPDC Ospedale S. Andrea); Iolanda De Marchis (Responsabile Assistenza Infermieristica DSM ex ASL RM B) e tutti i colleghi infermieri dei servizi dei DSM  coinvolti.

 

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Bibliografia

– World Health Assembly. Resolution WHA51.7. Health for all policy for the twenty-first century. Geneva: World Health Organization, 1998.
– Scalorbi S, Infermieristica preventiva e di comunità. Mc Graw Hill, 2008.
– The family health nurse – Context, conceptual frame work and curriculum. OMS 2000.
– Calamassi D, Rossi C, Bussotti A, Saffi E, Giustini, Roti L Cure primarie: medici di medicina generale e infermieri insieme. Una sfida da raccogliere. Rivista della Società Italiana di Medicina Generale. n2 Aprile 2011 pag.3-6.
– Lo Muto R, Curto A, De Compadri P, Garattini L. Assistenza domiciliare: revisione critica delle valutazioni economiche in Europa. Quaderni di Farmacoeconomia 19 ottobre 2012. pag. 8-19.
– Sasso L, Gamberoni L, Ferraresi AM, Tibaldi L. L’infermiere di famiglia. Scenari assistenziali e orientamenti futuri. McGraw-Hill 2005.