Come garantire un sonno efficace in ospedale senza l’uso di farmaci, quale ruolo per l’infermiere?


Introduzione
Il sonno rappresenta una funzione biologica che mantiene l’omeostasi dell’intero organismo. La deprivazione del sonno può determinare quindi serie conseguenze a livello immunitario, cardiovascolare, metabolico e cognitivo. A essere compromessa è l’immunità del soggetto: aumenta la suscettibilità alle infezioni e si ha una ritardata riparazione dei tessuti a causa di un persistente stato di infiammazione per l'iper-produzione di citochine pro-infiammatorie e conseguente incremento di ormoni glucorticoidi in circolo (Tembo et al., 2009).
Ancora, si può verificare ipertensione notturna, vasocostrizione sistemica e crescente rischio di sviluppare aritmie (causati dall'iper-stimolazione del Sistema Nervoso Simpatico) parallelamente ad una minore reattività alle condizioni di ipercapnia e ipossia (Pilkington et al., 2013).
Si riduce inoltre la tolleranza ai carboidrati (fattore di rischio per l’instaurarsi di insulino-resistenza) (Pilkington et al., 2013) e si altera la concentrazione degli ormoni dell’appetito (leptina e grelina) (Fotis Kapsimalis et al., 2008).
Infine, cala l’attività cerebrale con il declino della performance cognitiva (Pilkington et al., 2013), l'aumento dell'incidenza di delirium (Khane et al., 2007) e la minore tolleranza al dolore (Watson et al., 2012).
A rischiare le conseguenze della deprivazione del sonno sono i soggetti ospedalizzati, la cui condizione clinica è già compromessa in partenza: ne sono un esempio, i pazienti della terapia intensiva nei quali anche un minimo peggioramento provocato da un alterato modello di sonno (ad esempio calo della funzione immunitaria o ritardo nella riparazione dei tessuti) può fare la differenza.
Gli effetti della deprivazione del sonno sullo stato di salute sono ancora poco conosciuti da molti operatori sanitari e conseguentemente l’entità del fenomeno spesso sottovalutata nonostante lo stesso sia oggi molto diffuso (Hoey et al., 2014).
Molti operatori sanitari ricorrono in prima istanza all’uso dei farmaci ipnotici pur non essendo consapevoli dei numerosi effetti collaterali che si possono avere (tra cui una diminuzione degli stadi REM e NREM ad onde lente, considerati quelli più ristorativi del sonno). A determinare la preferenza per la terapia farmacologica è spesso l’erronea convinzione della loro efficacia e velocità di azione e la scarsa conoscenza di interventi alternativi (Watson et al., 2012).
Per assicurare una buona qualità del sonno ai pazienti ospedalizzati dovrebbero essere preferite, se possibile, strategie alternative ai farmaci nella cui applicazione l’infermiere assume un ruolo determinante.

Analisi della letteratura
Per individuare i principali interventi non farmacologici che l’infermiere può attuare per migliorare la quantità e la qualità del sonno nei pazienti adulti ricoverati in ospedale, con disturbi acuti del sonno sono stati analizzati gli articoli pubblicati dal 2004 al 2014 in lingua inglese, francese o italiana con full free text. Nello specifico sono stati considerati gli studi effettuati su pazienti sottoposti ai seguenti trattamenti non farmacologici: aromaterapia, musicoterapia, uso di maschere facciali e tappi auricolari, controllo degli stimoli ambientali e programmi per l’igiene del sonno.
Sono state escluse le ricerche che includessero nel campione di popolazione pazienti ipovedenti o con ipoacusia (per non alterare l’efficacia dell'eventuale trattamento con tappi e maschere) o con patologie psichiatriche accertate (per garantire che l'eventuale compilazione dei questionari sul sonno fosse possibile).
Le stringhe di ricerca sono state composte con numerose parole chiave e combinazioni non troppo specifiche per evitare la perdita di testi utili, data la vastità del fenomeno analizzato. I termini usati sono stati i seguenti: Sleep, disruption, deprivation, disorders, promotion, nursing, hospital, hospitalized, intensive care unit, patients, music therapy, aromatherapy, noise, light, back massage, earplugs, sleep hygiene, non pharmacological, interventions, strategies.
La ricerca è stata condotta sulle banche dati di Cochrane, Cinahl, Pubmed e Proquest. I documenti individuati sono stati 28 ma solo 19 sono stati reperiti con full text e successivamente analizzati criticamente con le schede STROBE (studi osservazionali), CONSORT (RCT), PRISMA (revisioni), AGREE (linee guida). Dei 19 documenti selezionati 5 erano studi quasi sperimentali, 7 RCT, 2 implementazioni di linee guida, 2 revisioni sistematiche, 1 studio osservazionale e 2 di coorte; 13 di questi erano stati effettuati in reparti intensivi, 6, invece, in degenza ordinaria.
Gli studi reperiti sono stati raggruppati per tipologia di intervento mentre le due revisioni sistematiche sono state considerate a parte (Tabella 1).

Tabella 1 – Sintesi dei risultati

Interventi non farmacologici proposti

Contesto operativo

Terapia intensiva (n=13)

Degenza ordinaria (n=6)

Programmi multipli di interventi

Patel (2014); Kamdar (2013); Elliott (2014); Shu-Yen Li(2011)

LaReau (2008); Robinson(2005); Gardner(2009)

Tappi auricolari maschere facciali

Rong-fang Hu (2010); Jones (2012); Le Guen (2014); Richardson(2007); Scotto (2009)

 

Musicoterapia

Min-Jung Ryu (2011); Chiu Ping Su (2012)

 

Aromaterapia

Hajibagheri (2014)

Lytle (2014)

Gestione stimoli ambientali

Waye (2013)

 

 

Revisioni sistematiche

 

Hellstrom(2011); Tamrat(2013)

L’analisi dei documenti selezionati ha permesso di evidenziare numerosi interventi attuabili dall’infermiere. Essi si possono raggruppare in tecniche di rilassamento, interventi per la gestione ambientale e per la promozione dell'igiene del sonno (Tamrat et al., 2013). I programmi multipli di intervento non risultano altro che uno combinazione di questi provvedimenti. Tutti gli interventi proposti sono potenzialmente attuabili sia in un contesto critico come la terapia intensiva, sia in un reparto di degenza ordinaria.
Fra le tecniche di rilassamento, la musicoterapia è risultata utile ma i dati non sono generalizzabili poiché sono da attribuirsi ad uno specifico tipo di musica testato su campioni ristretti (Min-Jung Ryu et al., 2011; Chiu-Ping Su et al., 2012). Specialmente in area intensiva, in cui i pazienti, parzialmente o totalmente sedati, richiedono stimolazione, seppur cauta, ci si potrebbe servire di dispositivi personali di riproduzione musicale (attraverso cuffie) o di alcuni cd player da posizionare nelle stanze per riprodurre musica rilassante la sera (ad esempio dalle ore 22:00 alle ore 23:00).
Chiu-Ping su et al., (2012) hanno dimostrato che essa ha contribuito a ridurre lo stadio 2 e aumentare lo stadio 3 (quello più ristorativo) del sonno NREM nelle prime due ore e ha parallelamente abbassato la frequenza cardiaca dei pazienti coinvolti.
L'aromaterapia invece, è stata testata ponendo un panno imbevuto di essenza di rosa oppure di olio di lavanda in un contenitore di vetro, accanto all'unità del paziente durante la notte (Hajibagheri et al., 2014; Lytle J. 2014) ma non è risultata significativamente efficace poiché difficilmente applicabile in ospedale.
L'uso di maschere facciali e tappi auricolari concomitante ad una serie di altri interventi (applicati nei programmi multipli di intervento) sono da ritenersi potenzialmente utili, anche se dagli studi reperiti non è possibile ammettere che siano statisticamente efficaci per la bassa qualità delle evidenze e la grande eterogeneità dei metodi di valutazione degli outcomes che rendono tali ricerche difficilmente confrontabili.
Per limitare l'inquinamento acustico e luminoso si rendono indispensabili alcune azioni attuate da Patel et al., (2014), Kamdar et al., (2013), Elliot et al., (2014), Shu-Yen Li et al., (2011), La Reau et al., (2008) e Robinson et al., (2005). Fra questi vi sono: la chiusura delle porte e spegnimento delle luci di reparto ad un’ora prestabilita (ad esempio a partire dalle ore 23:00), la riduzione del volume degli allarmi delle apparecchiature mediche e delle suonerie dei telefoni di reparto, la risposta agli allarmi entro un minuto, la prevenzione della fine infusione di un fluido somministrato tramite pompa sostituendolo leggermente prima del termine, l’abbassamento del tono di voce tra membri dello staff, l’uso di scarpe con suole in gomma e l’esecuzione di procedure infermieristiche non urgenti al mattino (es. prelievi ematici dopo le 5:00).
Per promuovere un'adeguata igiene del sonno sarebbe efficace assicurare l'igiene personale e il rifacimento del letto prima di coricarsi, mantenere costante l'ora del risveglio, orientare sempre la persona circa l'ora, la data il luogo (almeno ad ogni turno), favorire la normale ritmicità circadiana prediligendo la luce naturale di giorno e quella artificiale di notte, gestire il dolore, cercare di mantenere (per quello che è possibile in un ambiente di cura) le normali abitudini che il paziente ha prima di andare a dormire (es. fornire bevande calde, spuntini serali, incentivare la lettura ecc.).
Inoltre, potrebbe risultare utile da un lato, limitare il numero di riposini diurni (per non avere ripercussioni sulle ore di sonno notturno) dall'altro, stabilire un “periodo di riposo” (es. dalle h 14:00 alle 15:30) in cui si limitino le visite da parte dei familiari o l'esecuzione di interventi infermieristici per permettere al paziente un po' di riposo durante la giornata (Gardner et al., 2008).
Secondo la revisione sistematica di Tamrat et al., (2013), in cui sono stati selezionati 13 studi, le tecniche di rilassamento come musicoterapia e aromaterapia incidono sulla qualità del sonno per lo 0-38%, la gestione della luce in reparto per il 7-18% e la promozione dell'igiene del sonno con azioni comportamentali (controllo del rumore e delle interruzioni iatrogene) per il 5% sulla quantità di sonno totale.
I 9 studi revisionati invece da Hellstrom et al., (2011) hanno evidenziato che il massaggio, la musicoterapia (con riproduzione di suoni della natura) e l'agopuntura (in questa analisi non considerata fra gli interventi infermieristici) sono efficaci nella pratica clinica, diversamente dai protocolli multipli di interventi che costituiscono solo un punto di partenza per ulteriori ricerche.
La somministrazione di farmaci sedativi, come benzodiazepine o propofol, è da considerarsi come ultimo rimedio ai disordini del sonno: nonostante essi abbiano un effetto ipnoinducente. La qualità del sonno che inducono, benché simile a quello naturale, non può avere gli stessi benefici: ad esempio, la sedazione non è reversibile agli stimoli esterni (come diversamente è per definizione il sonno) e non segue la ritmicità circadiana e il ciclico proseguirsi degli stadi del sonno; ecco perché tali sostanze possono costituire un importante fattore di rischio per l’insorgenza di delirium (Watson et al., 2012).

Conclusioni
Anche se l’analisi condotta non permette di estrapolare conclusioni generali sull'efficacia di questi metodi per la grande eterogeneità degli studi, il lavoro va inteso come spunto di riflessione intorno al ruolo che l'infermiere ha per gestire e trattare i disturbi del sonno in ospedale.
I lavori analizzati si diversificano per disegno di studio, contesto e popolazione, tecniche di misurazione della qualità e della quantità del sonno e tipo di intervento studiato.
Quelli con una alta qualità metodologica sono insufficienti per poter ritenere generalizzabili i risultati in termini di efficacia degli interventi. In attesa di studi più rigorosi e condotti su campioni più ampi di popolazione è necessario sensibilizzare il personale a valutare sistematicamente il bisogno di sonno, a personalizzare l’assistenza del paziente e ad assecondare nel limite del possibile le sue abitudini, essendo il sonno un’esperienza altamente soggettiva ed estremamente legata al contesto in cui ci si ritrova.
Sono numerosi interventi, facilmente attuabili ed estremamente economici (come prestare una maggiore attenzione a luci e rumori in reparto) che l'infermiere in collaborazione con gli altri professionisti potrebbe metter in atto in ospedale per garantire un efficace modello del sonno (considerato uno degli undici modelli funzionali secondo M. Gordon, 1994) ed impedire un potenziale peggioramento dello stato di salute del paziente.
 

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Bibliografia

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