Cambiare si può! Storia di un cambiamento: il Primary Nursing all’ASL di Biella


INTRODUZIONE:
Da dicembre 2012 a marzo 2014 l'Azienda Sanitaria di Biella ha innovato il proprio modello di erogazione dell'assistenza infermieristica passando da un'assistenza di tipo prevalentemente funzionale ad un'assistenza personalizzata secondo il modello Primary Nursing.
La Direzione delle Professioni Sanitarie di Biella e l'Associazione CESPI hanno evidenziato il comune interesse a costruire un percorso operativo per sviluppare il modello del Primary Nursing considerato quale pratica assistenziale a sostegno sia di risultati di qualità, sia allo sviluppo delle competenze professionali.
Già nel 2007 è stata attivata una sperimentazione organizzativa applicando il modello del Primary Nursing nelle realtà di Medicina Interna.
I risultati positivi dell’applicazione di tale modello, quali ad esempio la diminuzione del turn over infermieristico, l'aumento della soddisfazione degli operatori e dei degenti, il miglioramento della collaborazione con i servizi presenti sul territorio e il miglioramento quali-quantitativo degli interventi educativi rivolti al paziente, hanno evidenziato l’importanza delle potenzialità che tale modello potesse far emergere nelle sua estensione a tutte le realtà assistenziali.
In ragione dell'apertura del nuovo ospedale, avvenuta nel 2014, la Direzione delle Professioni Sanitarie, ha ritenuto utile creare le condizioni affinché ogni realtà assistenziale venisse ri-organizzata secondo il modello del Primary Nursing.
Per poter descrivere e documentare tale esperienza è stato attivato un importante progetto di ricerca che ha seguito l'evoluzione del progetto.

IL PRIMARY NURSING
Il Primary Nursing nasce e si sviluppa con successo negli USA, all’University of Minnesota Hospital, negli anni '60 parallelamente alla crescente importanza acquisivano il processo di nursing, le teorie del nursing così come la loro applicazione alla pratica clinica, il tutto supportato dallo sviluppo sempre più crescente della ricerca infermieristica.
Secondo alcuni autori (Barton-Wright, 1994; Clifford, 1979; Bowers, 1989), il Primary Nursing un mezzo, uno strumento attraverso il quale gli infermieri applicano il processo di nursing così come veniva già ipotizzato dalla stessa Nightingale: un’assistenza competente centrata sul paziente e fondata sulla relazione.
Macdonald (1988) afferma che il nocciolo del successo del modello diffuso da Manthey, consiste nell’aver trovato un sistema di organizzazione del lavoro in cui vengono enfatizzati responsabilità e professionalità dell’infermiere strettamente correlati alla presa in carico della persona assistita e ai risultati con la stessa perseguiti. Hegyvary (1982) non lo considera unicamente un modello organizzativo assistenziale, ma anche una sorta di opportunità funzionale ad affrontare problemi professionali quali la mancanza di prestigio e di potere, l’esclusione dai processi decisionali e la mancanza di controllo sulla pratica clinica infermieristica.
Il modello del Primary Nursing prevede che un singolo infermiere/a sia responsabile dell’erogazione, qualità e appropriatezza dell’assistenza per tutta la durata della degenza di un paziente.

Gli elementi costitutivi del Primary Nursing definiti da Manthey (2008) sono:

  1. l’attribuzione e l’accettazione da parte di ciascun individuo della responsabilità personale nel prendere delle decisioni; con questo approccio decisionale decentralizzato il flusso comunicativo viene semplificato e tutte le decisioni prese sono basate sulla conoscenza dei bisogni della/del paziente e sulla relazione con essa/o e con i suoi familiari;
  2. l’assegnazione dell’assistenza quotidiana secondo il metodo dei casi (case method);
  3. la comunicazione diretta da persona a persona;
  4. presenza di una persona operativamente responsabile per la qualità dell’assistenza erogata alle/ai pazienti di un reparto 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana.

L’attivazione del modello del Primary Nursing persegue l’estensione del modello di cure basato sulla relazione e guidato dalle risorse per perseguire gli obiettivi (Brilli 2010) di:

  • aumentare la soddisfazione dei pazienti che saranno meglio informati e confortati da una relazione individualizzata e competente;
  • aumentare la soddisfazione degli infermieri attraverso la responsabilizzazione che, a sua volta, aumenta anche la professionalità;
  • aumentare la soddisfazione della famiglia meglio informata e integrata nelle cure;
  • sviluppare la collaborazione tra i membri del team curante;
  • sviluppare una governance secondo un modello organizzativo infermieristico orizzontale;
  • migliorare la relazione riducendo i contenziosi tra cittadini e aziende sanitarie;
  • individuare e valorizzare le competenze;
  • documentare e valutare, anche attraverso studi retrospettivi, la qualità dell’assistenza rendendola “visibile” anche dopo l’azione;
  • sviluppare la sicurezza anche in ragione della riduzione dei passaggi d’informazione e la riduzione delle persone coinvolte nel processo di cura della singola persona;
  • sviluppare la collaborazione con le cure domiciliari.

Obiettivi che si intersecano con forza e coerenza con quanto espresso nella carta etica dell’Azienda Sanitaria di Biella, che nella sua presentazione sottolinea come “Una buona azienda sanitaria deve organizzare in modo efficiente e razionale il lavoro e le competenze, ma anche definire percorsi in grado di dare una dimensione di senso e qualità alla vita professionale degli operatori che partecipano con il loro apporto al raggiungimento dei risultati di salute. Le prestazioni sanitarie e i servizi resi alla popolazione vanno sempre collocati in una dimensione relazionale improntata alla collaborazione e all’ascolto reciproco tra personale sanitario, pazienti e loro famigliari, trovando nella dimensione umana, oltre che tecnica, il loro compimento e una fondamentale prospettiva di miglioramento continuo. Mettere in primo piano questa dimensione relazionale ed umana è da considerarsi assolutamente imprescindibile (Agenas, Aress Regione Piemonte, 2011)”.
Un altro punto di partenza, inoltre, è stato fornito dall’ipotesi che, attraverso l’applicazione estesa di tale modello fosse possibile:

  • intercettare quelle criticità[1], seppur limitatamente presenti, che sono segnalate dai cittadini: in particolare rispetto alla chiarezza delle risposte alle domande fatte dal malato durante il ricovero.

Oggi, alla luce della nuova normativa[2], delle criticità evidenziate nella realtà assistenziali e della necessità di modalità organizzative che sostengano la pertinenza e l’appropriatezza nell’offerta dei servizi, si fa sempre più evidente come, l’applicazione del modello organizzativo del Primary Nursing potrebbe essere una scelta funzionale in quanto:

  1. risponde in prima istanza alla risposta al bisogno assistenziale delle persone attraverso interventi differenziati secondo la complessità dello stesso. Ne può conseguire un miglioramento della qualità percepita da parte del malato e dei suoi caregiver (Laurant 2005; Sutherland 2009);
  2. sostiene la qualità nell’assistenza erogata (Reimanis 2001; Chiari 2008; Sutherland 2009) influenzando anche la capacità di autocura delle persone assistite. Ne consegue che l’applicazione di tale modello organizzativo potrebbe sostenere la continuità assistenziale attraverso sia il miglioramento da parte della persona assistita nella gestione autonoma della propria cura sia un raccordo con i servizi territoriali qualora la persona abbia necessità di supporto organizzato;
  3. determina un’assunzione di responsabilità diretta e riconosciuta da parte del professionista concorrendo da una parte a ridurre il percepito di appiattimento professionale e, dall’altra, a differenziare la presa in carico secondo il principio della competenza, della complessità assistenziale e della interdipendenza;
  4. sostiene l’autonomia di ogni singolo professionista quale elemento strategico per lo sviluppo della responsabilità e dell’autonomia. (Thomas 2001; Nelson 2002).

A questi aspetti di positività, nell'introduzione del modello organizzativo proposto, è stato necessario raccordare gli aspetti critici documentati dalla letteratura. Tali aspetti richiamano a:

  1. difficoltà nell'implementazione di tale modello determinata prioritariamente da fattori di ordine culturale e organizzativo. Infatti nella maggior parte delle situazioni organizzative la permanenza di modelli professionali ormai superati (Bigger 2010) è determinata da rigidità professionali e stereotipie di ruolo che resistono e si oppongono al cambiamento;
  2. dati di letteratura che se, da una parte, evidenziano come tale modello organizzativo sostenga uno sviluppo professionale e riduca il turnover degli infermieri, dall'altra, richiamano (Keleher 2008; Butler 2011) alla necessità di documentare in modo più analitico i benefici derivanti da tale applicazione sia in termini economico gestionali sia in termini di outcome per il paziente.

FASI DI ATTUAZIONE DEL CAMBIAMENTO
Fase 1: marzo/aprile 2013

La prima fase di attuazione del progetto è stata l’individuazione di 15 infermieri esperti identificati soprattutto tra gli operatori delle medicine che avevano, per primi, sperimentato il modello. Questo gruppo d’infermieri è stato preparato, attraverso una formazione specifica di 30 ore d’aula, per diventare “Infermieri formatori Primary”. Lo scopo di questa fase è stato quello di preparare infermieri, esperti sull’applicazione del modello, circa la gestione di un'aula di formazione/apprendimento attraverso metodologie di lavoro di gruppo e confronto tra professionisti. Questo tipo di formazione è stata organizzata in un primo step di 20 ore a marzo 2013 e poi con tre refresh, di sostegno al cambiamento, distribuiti durante tutto l’anno.
Contemporaneamente alla formazione dei formatori è stato avviato il così detto “livello informativo”, attraverso la fruizione di un corso FAD organizzato dal Cespi, rivolto a tutti gli operatori dell’ASL, sia operanti in setting di implementazione che non.
Per le strutture che implementavano il modello è stato reso obbligatorio lo svolgimento del corso in modalità “Fad” prima di ricevere in aula ulteriore formazione specifica.
Oltre agli esperti sono stati formati i coordinatori, anche loro mediante 30 ore di formazione d’aula, suddivise in due giornate di avvio e altre mezze giornate di sostegno durante l’anno d’implementazione. Il ruolo del coordinatore, in un modello come il Primary Nursing, è infatti centrale soprattutto nella fase di implementazione poiché, il coordinatore stesso è stato identificato quale responsabile della “formazione sul campo”, strumento cardine in questa fase del progetto.

Fase 2: maggio/ottobre 2013
In questo periodo sono stati formati tutti gli infermieri delle strutture ospedaliere suddivisi in due gruppi omogenei, il primo tra maggio e giugno e il secondo tra settembre e ottobre, per un totale di circa 350 infermieri. Le ore previste sono state 18, suddivise in 4 incontri di 4.30 h.
Alla fine della formazione d’aula ogni struttura ha avviato le modalità individuate nelle proprie strategie di implementazione. Ogni realtà ha avuto a disposizione due infermieri esperti di riferimento, i quali potevano essere interpellati per bisogni di approfondimento e per necessità di supervisione, inoltre il progetto di formazione sul campo (30 ore) ha creato, all’interno di ogni struttura, le condizioni per un approfondimento specifico ovvero, partendo da un’analisi della realtà, gli infermieri di ogni struttura hanno progettato il proprio piano di sviluppo mirato all’applicazione dei princìpi fondanti l’erogazione dell’assistenza secondo il modello Primary Nursing.

Fase 3: novembre/dicembre 2013
In questo ultimo periodo sono stati predisposti i corsi per le aree territoriali (circa 100 persone di distretti territoriali, salute mentale, cure palliative) le quali, possedendo peculiarità non sovrapponibili alle degenze tradizionali, sono state raggruppate al fine di poter condividere e confrontare esperienze analoghe.

Fase 4: 2014: stabilizzazione del cambiamento
Durante il 2014 tutte le realtà hanno consolidato il proprio percorso affinando la documentazione a sostegno della personalizzazione dell’assistenza e la costruzione di standard di riferimento. Inoltre la Direzione delle Professioni ha distribuito materiale divulgativo progettato e strutturato al fine di rendere pubblico tale cambiamento nei confronti degli stakeholder, sia sotto forma di manifesti personalizzati riguardanti le “modalità di erogazione dell’assistenza” da appendere in ogni struttura, sia brochure di identificazione e presentazione dell’infermiere Primary di riferimento da consegnare ai propri assistiti. 

CONCLUSIONI
Ad oggi l’85% delle persone assistite, in degenza ordinaria, a Biella vengono prese in carico da un infermiere Primary di riferimento entro le 48 h, mentre oltre il 90% in regime di Day Hospital, Day Surgery o assistenza territoriale vengono prese in carico al primo contatto. Molti ancora sono gli spazi di miglioramento che si possono intravedere, sia per il raggiungimento del 100% della presa in carico, sia per l’ulteriore miglioramento della qualità dell’assistenza infermieristica intesa come pro-azione; questa considerazione è valida soprattutto quando si tratta di scegliere le strategie di cura educative (Mortari 2006), quando cioè bisogna aiutare la persona assistita a crescere e a realizzarsi nella sua condizione di salute compromessa dalla malattia attraverso strategie di educazione terapeutica e di empowerment.
L’adozione del modello Primary Nursing a Biella ha significato optare per un approccio culturale che punta sulla responsabilizzazione e il coinvolgimento di tutti i protagonisti. Attuare oggi un’organizzazione centrata sulle persone è l’unica chance per poter mantenere l’attenzione sull’appropriatezza quale criterio di valutazione (Manthey 2008).
La paura del cambiamento è una paura fisiologica, propria di ciascuna organizzazione. Il futuro è pieno d‘incertezze e la pianificazione a lungo termine cede spesso il passo a strategie volte a gestire al meglio il presente, ma se è vero che il futuro è imprevedibile è tuttavia possibile anticiparlo e costruirlo lavorando sulle capacità dell’uomo e delle organizzazioni di fronteggiare l’incertezza. Per decifrare il futuro occorre elaborare schemi nuovi per interpretare il presente per muoversi in una realtà che appare sempre più complessa. Dinnanzi all’incertezza occorre aiutare le persone ad acquisire nuove chiavi di lettura condivise per ricostruire un ordine e dare un senso alla propria azione, creando quindi un senso di fiducia che è determinante ai fini dell’apprendimento che nasce da un conflitto, da uno squilibrio tra l’apparente disordine e il modello sperimentale (Cavada 2012). Il cambiamento deve allora essere considerato una dimensione strutturale del divenire piuttosto che un accidente, un fenomeno occasionale, un’eccezione. La soluzione è quella di mettere in atto strategie di stabilizzazione che minimizzino i conflitti e le resistenza per favorire la fluidità dei rapporti e l’efficienza dell’organizzazione (Burns 1978). È fondamentale avere un approccio proattivo al cambiamento, considerandolo come un’occasione di crescita, un’opportunità da cui trarre il proprio vantaggio competitivo.
Il cambiamento va attraversato, il cambiamento non può essere delegato, è possibile nascondersi per un certo tempo ma alla fine non si può non cambiare e allora vale la pena di farlo cercando di vivere nel tempo accettando l’alternanza tra momenti radiosi e altri molto meno interessanti riconoscendo e apprezzando in seguito che quelli davvero importanti sono stati spesso quelli più difficoltosi e a volte anche dolorosi (Magnone 2013).

Working group: G. Busca, M. Fabbro, C. Pignolo, V. Derossi, M. Bisella, R. Gallo, S. Parente, S. Ferrari, B. Cianciolo, L. Zampelli, S. Caliandro, P. Poleis, M. Cavina, E. Larocca, M. Piasentin.

  


[1] Sistema di rilevazione della qualità percepita, ASL BI, dati 2011 presidio ospedaliero.
[2] In particolare da quanto espresso sia dal PSN anno 2011 – 2013, Pag.8 “E’ sui temi della qualità percepita, della centralità e dei diritti della persona assistita che i sistemi di tutela sanitaria sembrano oggi giocare la vera partita, …E‟ il tema dell‟accountability (rendere conto) sull‟accessibilità, equità e performance globale, a livello di sistema, di organizzazione fino al singolo operatore. Accountability verso il cittadino e tutti gli altri portatori di interesse…” – pag. 11 “… Alla dimensione che valuta “quali” servizi sono inclusi nei Livelli essenziali di assistenza, si interseca con evidenza la dimensione che analizza “come” questi servizi sono forniti, ponendo la questione se modalità insufficienti di erogazione, sotto il profilo della competenza professionale, della dotazione tecnologica, della diffusione del servizio e della sua organizzazione, e in ultimo della tempestività della risposta, non vanifichino in radice la stessa garanzia del diritto …” “si stanno portando avanti varie linee prioritarie di sviluppo del sistema che consentano una riorganizzazione dei processi di cura centralizzandoli sul cittadino ed i suoi bisogni sanitari…” sia sul PSSR, pag. 70, principi ispiratori “ … La programmazione sanitaria nazionale e regionale definiscono in modo molto chiaro in quale cornice di valori e principi si debba sviluppare la pianificazione della prevenzione: equità, dignità, umanizzazione, giustizia, pienezza di diritto, sobrietà, austerità, economia del dono, sostenibilità, accessibilità, continuità, democrazia,…” pag. 20 “Alla dimensione che valuta “quali” servizi sono inclusi nei Livelli essenziali di assistenza, si affianca con evidenza la dimensione che analizza “come” questi servizi sono forniti, ponendo la questione se modalità insufficienti di erogazione, sotto il profilo della competenza professionale, della dotazione tecnologica, della diffusione del servizio e della sua organizzazione, e in ultimo della tempestività della risposta, non vanifichino, alla radice, la stessa garanzia del diritto.
 

STAMPA L'ARTICOLO

Bibliografia

– Barton-Wright P. Clinical supervision and primary nursing. Br J Nurs. 1994 Jan 13-26;3(1):23-30.
– Bigger A. Le basi del Primary Nursing. SBK ASI Info – Periodico di informazione dell’associazione Svizzera Infermiere/i, 2010; n.9/10:7-11.
– Bowers L. The significance of primary nursing. J Adv Nurs. 1989 Jan;14(1):13-9.
– Brilli S. Primary Nursing. Cure basate sulla relazione: un modello per trasformare la pratica. Info – Periodico di informazione sulle attività dell’associazione Svizzera Infermiere/i, 2010; n.9/10:8-11,9.
– Burns J. Leadership. New York: Harper and Row. 1978.
– Butler M. et al. Hospital nurse staffing models and patient and staff-related outcomes. Cochrane Database Syst Rev. 2011 Jul 6;(7).
– Cavada L. I processi di cambiamento ed innovazione: uno sguardo alle teorie di riferimento. Assist Inferm Ric 2012; 31: 173-6.
– Chiari P. et al. Studio per documentare l’esperienza dell’inserimento degli infermieri case manager in reparti per acuti e post-acuti: il punto di vista degli operatori, dei pazienti, e dei risultati clinico-organizzativi. Assist Inferm Ric. 2008 Oct-Dec;27(4):202-9.
– Clifford JC. The potential of primary nursing. NLN Publ. 1979;(52-1755):61-8.
– Hegyvary ST. The change to primary nursing: a cross-cultural view of professional nursing practice. St. Louis: C.V. Mosby Co., 1982.
– Keleher H. et al. Systematic review of the effectiveness of primary care nursing. Int J Nurs Pract 2009 Feb;15(1):16-24.
– Laurant M. et al. Substitution of doctors by nurses in primary care. Cochrane Database Syst Rev. 2005 Apr 18;(2).
– Macdonald M. Primary nursing: is it worth it? J Adv Nurs. 1988 Nov;13(6):797-806.
– Magnone R. et al. Cambiamento: una faticosa opportunità. Trento: Giappichelli Editore, 2013.
– Manthey M. La pratica del Primary Nursing. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2008.
– Mortari L. La pratica dell’aver cura. Udine: Pearson Paravia Bruno Mondadori Spa. 2006:30-44.
– Nelson J. The empirical relationship of primary nursing and organizational commitment. Creat Nurs. 2002;8(2):13-4, 16.
– Reimanis CL. et al. Nurse Case Manager Role Attributes: Fifteen Years of Evidence-based Literature Lippincotts Case Manag. 2001 Nov-Dec;6(6):230-9.
– Sutherland D. et al. Structured review: evaluating the effectiveness of nurse case managers in improving health outcomes in three major chronic diseases. J Clin Nurs. 2009 Nov; 18(21):2978-92.
– Thomas I. et al. Outcomes of nursing care: the case of primary nursing. Int J Nurs Stud. 1991;28(4):291-314.