Il sistema di produzione e circolazione della letteratura scientifica è dominato quasi esclusivamente da grandi case editrici commerciali che progressivamente hanno aumentato i prezzi dei periodici: si stima più del 300% in 20 anni.
Atenei, enti di ricerca e biblioteche, in relazione alla crisi economica, in alcuni casi riducono il numero dei titoli che è possibile offrire all’utenza, con conseguente minore disseminazione dei risultati della ricerca.
I contratti editoriali prevedono inoltre una serie di barriere tecnologiche e legali nei confronti della trasmissione e del riutilizzo delle risorse acquistate in abbonamento.
I ricercatori, spesso dipendenti di pubbliche amministrazioni, pubblicano articoli sulle riviste, principali canali di diffusione scientifica, perdendone però i contenuti intellettuali poiché la cessione dei diritti fa sì che le istituzioni siano costrette a pagare nuovamente, sotto forma di abbonamento, per accedere ai risultati della ricerca.
Il movimento Open Access (OA) nasce proprio con l’obiettivo principale di rendere libera e gratuita in rete la produzione scientifica validata e, conseguentemente, di facilitare la circolazione delle informazioni tra studiosi.
É dalla seconda metà del Novecento infatti che è emersa, soprattutto in ambito universitario, l’esigenza di rendere più veloce ed immediata la circolazione delle informazioni; ad esempio negli Stati Uniti vengono sperimentati i primi sistemi di scambio di fotocopie di pre-print.
L’idea di accesso aperto si potrebbe legare alla nascita e allo sviluppo dell’editoria, ma diviene un fenomeno globale grazie alla forza dirompente del web.
Nel 1991 Paul Ginsparg apre agli studiosi di tutto il mondo il server del Los Alamos National Laboratori, dando vita a “arXiv”, un archivio pre-print di fisica e matematica.
Nel 1992, durante un convegno sulle biotecnologie a Trieste, il premio Nobel per la medicina Joshua Lederberg pone in evidenza il divario tra i costi delle riviste accademiche e gli stanziamenti per le biblioteche per il loro acquisto, denunciando la crisi del modello tradizionale dell’editoria scientifica.
Nel 1997 Thomas Krichel fonda RePEc (Research Papers in Economis), una banca dati di risorse di economia.
Nell’ottobre del 1999 a Santa Fe, un gruppo di ricercatori e bibliotecari crea l’OAI (Open Archives Initiative), che segna la svolta fondamentale per l’OA.
Sarà tra la fine del 2001 e l’inizio del 2002 che l’OA diventerà un movimento con una fisionomia concettuale ben definita: «Open Access literature is digital, online, free of charge, and mostly free of copyright and licensing restrictions» Peter Suber, Earlham College, 2004.
L’espressione OA viene utilizzata per la prima volta in un documento pubblico il 14 febbraio 2002, nel Budapest Open Access Initiative (BOAI), promosso a Budapest dall’Open Society Institute. Il manifesto è considerato come l’atto costitutivo del movimento OA e dove sono definite le strategie da seguire: il Self Archiving (BOAI-1) e gli Open-Access Journals (BOAI-2), ribattezzate in un secondo tempo Green road (autoarchiviazione) e Gold road (riviste OA).
A questa prima dichiarazione ne sono seguite altre due: nel giugno 2003 il Bethesda Statement on Open Access Publishing e il 22 ottobre 2003 la Berlin Declaration on Open Access to Knowledge in the Sciences and Humanities, dove vengono stabiliti i due requisiti che deve avere una pubblicazione ad accesso aperto:
- “garantire a tutti i possibili utenti il diritto di accesso gratuito e l’autorizzazione libera, irrevocabile, estesa e perpetua, a riprodurre, scaricare, distribuire, stampare per uso personale l’opera dell’ingegno di cui l’autore rimane unico detentore dei diritti materiali e immateriali, purché ne sia riconosciuta la paternità intellettuale”;
- “essere depositata in un archivio in linea che impiega standard tecnici adeguati e in un formato elettronico che rispetti uno standard riconosciuto a livello internazionale”.
Ad oggi vi sono oltre 70 manifesti/dichiarazioni legati ai principi dell’OA.
Per quanto riguarda il nostro paese, il movimento OA si afferma ufficialmente durante un convegno nazionale promosso dalla CRUI (Conferenza dei Rettori delle università italiane) a Messina il 4 e 5 novembre del 2004. Con un atto formale, i rettori di 30 università aderiscono ai principi della Dichiarazione di Berlino, firmando un documento dal titolo “Gli atenei italiani per l’open access: verso l’accesso aperto alla letteratura di ricerca”, noto come la Dichiarazione di Messina.
Pubblicare OA non significa però pubblicare “gratis”: circa la metà delle riviste OA richiede il pagamento per il processo di pubblicazione, costi legati al workflow editoriale e alla garanzia di una peer-review di qualità.
I costi delle pubblicazioni OA sono a carico di chi produce la ricerca e non del lettore; quindi paga l'autore o, sempre più spesso, la sua istituzione e in questo modo l'articolo diviene visibile a tutti e per sempre.
I beneficiari dell’OA sono numerosi: in primis le biblioteche, perché la letteratura OA è una risposta alla crisi dell’aumento esponenziale dei prezzi delle sottoscrizioni.
Un’opportunità anche per le università, che possono dare maggiore visibilità ai propri ricercatori, possono adottare economie sostenibili sui costi degli abbonamenti ed infine avere la possibilità di razionalizzare l’anagrafe della ricerca, collegandola ad un archivio istituzionale.
Un notevole vantaggio anche per gli autori che mantengono i loro diritti, hanno maggiore visibilità e impatto per i propri lavori (fino al 300% in più in certe aree disciplinari), la possibilità di nuove metriche di valutazione d’impatto, alternative all’Impact Factor e l’opportunità di una peer-review più trasparente ed efficace. Infine anche i ricercatori hanno una maggiore facilità di accesso ai dati e ai risultati della ricerca rispetto agli articoli accessibili solo a pagamento.
I risultati delle ricerche hanno una maggiore disseminazione, sono disponibili immediatamente grazie all'autoarchiviazione, che non prevede i tempi di stampa e, da una maggiore disseminazione, ne consegue un maggiore impatto e una notevole riduzione del divario culturale.
I modelli di editoria OA sono due: Golden road e Green road.
La cosiddetta Golden road è la pubblicazione su riviste OA, ricercabili in DOAJ (Directory of Open Access Journals) http://doaj.org/, una banca dati online nata in Svezia nel 2003, che indicizza i periodici ad accesso aperto suddivisi per disciplina; le riviste rispondono rigorosamente ai requisiti di accesso aperto secondo criteri peer-reviewed.
I principali editori OA sono PLoS (Public Library of Science) e Biomed Central, entrambi nati nel 2000.
PLoS è un’organizzazione americana no profit di scienziati con l’obiettivo primario di rendere fruibili liberamente sul web i progressi nel campo della scienza e della medicina, mediante una strategia editoriale che ottimizza la qualità e l'integrità del processo di pubblicazione e sviluppa approcci innovativi per la valutazione, l'organizzazione e il riutilizzo di idee e di dati. Attualmente l’editore pubblica 7 collezioni di riviste http://www.ploscollections.org/home.action: PLoS Biology, Medicine, Computational Biology, Genetics, Pathogens, One, Neglected Tropical Diseases.
Biomed Central è un editore inglese con all’attivo 265 riviste ad accesso aperto peer-reviewed http://www.biomedcentral.com/journals. Il portfolio di riviste abbraccia tutti i settori della biologia, della biomedicina e della medicina e comprende titoli di interesse generale accanto a riviste specializzate. Tutti gli articoli di ricerca originali pubblicati sono accessibili on-line immediatamente al momento della pubblicazione. Gli autori che pubblicano mantengono il copyright per il loro lavoro, il che permette agli articoli di essere riutilizzati e ri-distribuiti senza restrizioni. Attualmente Biomed Central è di proprietà di Springer Science e Business Media ed ospita anche la piattaforma SpringerOpen.
Il deposito di articoli in archivi aperti (Open Archives) è la cosiddetta Green road: copie di articoli non ancora sottoposti a peer-review e articoli già pubblicati implementano archivi aperti preposti, in cui l’autore stesso, o il bibliotecario, possono depositare gli articoli di ricerca, che saranno liberamente e per sempre disponibili online.
In Italia, il Decreto n. 91 del 8 agosto 2013 ha stabilito che le pubblicazioni dei risultati di ricerche, finanziate almeno per il 50% con fondi pubblici, siano depositate in archivi elettronici ad accesso libero e gratuito.
Parallelamente, la CRUI e diversi enti pubblici e di ricerca si sono impegnati nella sottoscrizione di un Position Statement http://www.cnr.it/sitocnr/Iservizi/Biblioteche/PositionAccessoAperto.html, che promuove l’istituzione di archivi liberamente consultabili e incoraggia i ricercatori a rendere disponibili i loro risultati.
Negli ultimi anni sono emerse altre due vie che insidiano le pubblicazioni OA: “via rossa” e “via nera”. La Red road è abbracciata da molti editori scientifici tradizionali, che offrono l’opportunità di rendere OA un singolo articolo su una rivista, che resta però a pagamento. Il modello editoriale (denominato hybrid) rimane quello tradizionale, ma “author/institution pays”, con eventuali scontistiche se l’istituzione di appartenenza ha all’attivo una sottoscrizione alla versione cartacea.
La via nera, Black road, è il subdolo fenomeno di editori “predatori” che strumentalizzano l’OA per creare un mercato parallelo, spesso un modello editoriale che rasenta la truffa.
Nonostante la crescente sensibilità sul tema, oggi le pubblicazioni OA non superano il 20% dell’intera produzione scientifica mondiale.
Attualmente manca ancora, soprattutto da parte degli autori, la conoscenza dei vantaggi che comporta pubblicare OA, ma sono allo studio modelli economici alternativi per sostenere soluzioni che portino vantaggi a tutti i diversi attori coinvolti: enti finanziatori, editori e ricercatori.
All’interno di tali scenari la produzione scientifica in ambito infermieristico è ampiamente coinvolta, di particolare interesse è la rivista OA BMC Nursing http://www.biomedcentral.com/bmcnurs, peer-reviewed che pubblica articoli su tutti gli aspetti della ricerca infermieristica, la formazione, l'educazione e la pratica. Si ritrovano inoltre interessanti articoli in altre riviste del gruppo BMC: BMC Medical education, BMC Health Services Research, BMC Palliative care, etc.
Miti da sfatare e sfide aperte incombono tuttora sull’OA, ma auspichiamo «(…) che l’Open Access possa rappresentare il futuro della comunicazione scientifica, riportandola alla sua iniziale natura di conversazione aperta fra pari» [Elena Giglia, Università degli studi di Torino, 2007].