Nell’aprile del 2003 il Royal College of Nursing di Londra pubblicò il documento “Defining nursing”[1], testo predisposto sulla base dei risultati di una vasta consultazione professionale.
1. Perché occuparci di questo documento?
Non  solo perché proviene da una prestigiosa e storicamente autorevole  istituzione infermieristica europea, ma anche perché ci offre, nei  contenuti e nel ragionamento proposto per costruire (o ri-costruire) la  risposta a una specifica domanda, spunti riflessivi importanti per chi  intende riflettere a fondo sull’infermieristica, anche in Italia.
“Rispondere  a una domanda non è come tirar fuori dal cassetto una risposta bella e  pronta. Costruendo delle risposte si avanza e si fanno delle scoperte.  Esplicitando un punto di vista lo si arricchisce e lo si fa evolvere”[2].
La domanda è: che cos’è il nursing?
Domanda non nuova. Nel 1978 apparve addirittura come titolo di una pubblicazione[3]  curata dal Dipartimento della sicurezza sociale della Regione Toscana.  Pubblicazione che riportava la traduzione, di Vera Maillart e Maria Rosa  Marchi, di un testo di Virginia Henderson, per molti versi ancora  attuale.
Domanda professionalmente esistenziale.
Domanda ricorrente, anche se forse in modo troppo latente, nel quotidiano di ogni infermiere.
Domanda  che accompagna costantemente il processo d’irrobustimento dell’identità  professionale dell’infermiere; processo faticoso e impegnativo, non  solo per la giovane storia professionale istituzionale  dell’infermieristica, ma, soprattutto, per le turbolenze politiche,  amministrative, organizzative, interprofessionali che ne stanno  affiancando la crescita.
Domanda che, però, in  quanto generatrice di risposte, esprime anche la vivacità di una  professione che cresce e che è costantemente in ricerca, che non difende  posizioni precostituite, che s’impegna a evolvere con l’evolvere della  società di cui è a servizio.
Sotto questa luce,  quindi, analizzare il documento in questione ci espone al confronto con  il pensiero di altri colleghi europei che condividono le nostre stesse  tensioni[4].  E ciò è buono. Perché confrontarci con più saperi consente di  rivitalizzare il nostro pensiero e di allargare i nostri orizzonti  culturali. Usare plurimi riferimenti per riflettere, anche se la potenza  attrattiva della contingenza quotidiana, a volte, sembra allontanarci  da questa basilare facoltà intellettiva, consente di amplificare le  nostre possibilità di ricerca, di azione e, non per ultimo, di  concettualizzazione.
“La riflessività pone una  distanza tra se stessi e la propria attività. Collocandosi in una  situazione di esteriorità, il soggetto non si trova più immerso in un  problema, ma gli si posiziona di fronte. Questa collocazione rappresenta  l’asse della concettualizzazione dell’azione. La traduzione della  realtà in concetti è necessaria per potersi dotare di schemi di  comprensione o di azione da riutilizzare nell’ambito di vari contesti.  Un concetto, quindi, è più che un semplice tassello di conoscenza. È uno  strumento operativo che consente, in maggior o minor misura, di  comprendere e affrontare la realtà”[5].
In  questa prospettiva, poiché i concetti sono veicolati da parole, già il  primo termine usato nel titolo del documento è suggestivo nella sua  essenzialità semantica.
Infatti, il gerundio “defining”, collocato prima del termine nursing,  che è il vero oggetto del documento e che sarà sviluppato in tutto il  testo, rappresenta sia la sostantivizzazione del verbo definire, sia il  processo del definire. Coniugare questi due aspetti  (definizione/definire) consente di mitigare la rigidità del termine  “definizione”, che evoca una fine, un punto definitivo, conclusivo, una  cristallizzazione di significati, con la dinamicità del termine  “definire” che esprime il processo vitale di un sapere che, per sua  natura, è costantemente e ricorsivamente in evoluzione.
Il  titolo, quindi, ci indica la prospettiva con cui leggere e studiare  questo documento: non solo il prodotto conclusivo di un processo  elaborativo sul nursing, ma una tappa del fluire del pensiero sull’infermieristica a cui potranno far seguito ulteriori tappe successive.
2. Una precisazione preliminare sul termine nursing
Il termine nursing planò pubblicamente in Italia nel 1972, quando la compianta collega Rosetta Brignone, allora Presidente della Cnaioss[6] (oggi Cnai[7], inaugurando l’ottavo Congresso nazionale della Consociazione[8] disse: “Questa relazione propone l’introduzione della parola nursing nel nostro linguaggio professionale corrente”. Grande desiderio di rottura concettuale con una tradizione italiana ancorata ancora alle “tecniche infermieristiche”!
32  anni dopo, nel 2004, la stessa Rosetta Brignone, in un’intervista  rilasciata in occasione del cinquantennale dell’istituzione dei collegi  Ipasvi, affermava laconicamente, senza nascondere il suo rammarico per  un processo culturale fortemente auspicato ma ancora incompiuto: “…  purtroppo sono stata io a parlare di nursing; me ne sono pentita mille  volte perché è una parola che è stata usata senza apprezzarne il  significato più profondo; dietro quella semplice parola, infatti, c’è  una filosofia, un modo di pensare e di essere infermieri”.
Il termine nursing è sia sostantivo sia gerundio del verbo to nurse, che deriva dal latino nutrire, il cui primo significato è “allattare un fanciullo”. Da qui i significati figurativi di “allevare”, “far crescere”, “educare”.
Oggi il termine inglese nurse è correntemente collegato in italiano a infermiera/e, e quello di nursing, spesso associato a care (nursing care), ad assistenza infermieristica.
Allora, senza disconoscere il valore del termine nursing,  ma riconoscendo altresì che tale parola non appartiene originalmente  alla cultura italiana, si può legittimamente asserire l’assoluta  identità concettuale tra nursing e assistenza infermieristica,  purché non si escluda mai l’aggettivo “infermieristica”. La sola parola  “assistenza”, infatti, derivando dal latino adsistere (“stare  vicino”), è generale, appartiene a molti, anche a non professionisti. È  proprio l’aggettivo “infermieristica” che, qualificando  professionalmente l’assistenza, proietta l’infermiere in quella  dimensione filosofica e scientifica trasmessa dal termine nursing che il documento in questione esplora in profondità.
3. Perché un documento sulla definizione del nursing/assistenza infermieristica?
Lo  stesso documento dà conto del dibattito esistente in merito a questa  questione: da una parte c’è chi si dichiara scettico sull’utilità di una  definizione, ritenuta troppo restrittiva per la professione, e  dall’altra c’è chi afferma che ciò che non si può definire non si può  neanche nominare, controllare, finanziare, indagare, insegnare o  inserire nella politica sanitaria.
In ogni caso,  anche chi è sostenitore di questa seconda posizione, deve tenere conto  del fatto che qualsiasi definizione, ancorché utile per precisare alcuni  fondamentali concetti chiave che guidano l’agire del professionista,  non riuscirà mai, da sola, a superare totalmente i malintesi e gli  stereotipi che esistono in quest’ambito e non potrà mai, da sola,  determinare la qualità delle relazioni tra infermieri e pazienti,  infermieri e altri professionisti.
Fatte queste  precisazioni, il documento sostiene alcune motivazioni che hanno reso  necessario tale lavoro definitorio. Due in particolare, che riassumono  tutte le altre, meritano una particolare attenzione. 
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Ridurre la vulnerabilità dell’assistenza infermieristica
È abbastanza normale che ai margini di ogni professione esistano aree di contiguità o sovrapposizione di funzioni con altre professioni. Nonostante ciò, nella percezione comune, le responsabilità di ogni gruppo professionale sono piuttosto chiare; a questo fa eccezione la professione infermieristica nei confronti della quale, per ragioni storiche, sociali e culturali esiste ancora una variabilità considerevole di percezioni. La responsabilità di rettificare e di chiarire tale situazione spetta agli infermieri stessi, consensualmente. Questo documento intende offrire un contributo in questa direzione: far capire le differenze che l’infermieristica ha rispetto ad altre professioni; differenze collocabili soprattutto nel giudizio clinico, nella conoscenza, nella responsabilità, nella relazione strutturata - 
Superare le interpretazioni individualistiche
Ogni infermiere possiede sicuramente un concetto personale dell’assistenza infermieristica: ciò che è, per chi è e come deve essere realizzata. È un problema diffuso, però, il fatto che tale concetto raramente viene verbalizzato e condiviso nei gruppi di lavoro e nella comunità professionale; e finché ciò persiste risulterà estremamente difficoltoso comunicare in modo chiaro con i destinatari delle cure e farsi capire dal pubblico in merito alla natura e alla qualità del servizio offerto. Ma ciò va fatto, superando le difficoltà esistenti, perché è la base del mandato sociale di una professione come quella infermieristica e della relazione di fiducia che essa, necessariamente, deve mantenere con il pubblico assistito. 
Il documento, che è stato redatto dopo un largo consenso della comunità professionale sui suoi contenuti, intende costituirsi come un punto di riferimento per facilitare tale risultato.
4. In che cosa è originale questo documento?
La  sua originalità sta nella sua struttura, costituita da un’affermazione  centrale sostenuta da sei importanti caratteristiche. Le singole  caratteristiche (scopo, modo di intervento, dominio, focus, valore di  base, impegno alla partnership) non sono esclusive  dell’infermieristica. Anche altre professioni possono condividerle. Esse  devono, quindi, essere considerate non separatamente ma nella loro  combinazione, che costituisce una sorta di sistema concettuale  satellitare della definizione. Nel loro insieme, definizione e  caratteristiche, danno conto dell’unicità dell’infermieristica e della  complessità della sua descrizione, rifuggendo tentazioni interpretative  riduzionistiche.
In questo scritto è considerata solo la parte core  del documento, la definizione, che già di per sé consente di sviluppare  un ragionamento interessante, lasciando al lettore la possibilità di  prendere visione delle sei caratteristiche, che sviluppano e dettagliano  i contenuti della definizione, direttamente sul documento originale.
5. La definizione: analisi e riflessioni
“L’assistenza infermieristica è l’uso del giudizio clinico nell’erogazione delle cure per rendere le persone[9] capaci di migliorare, di mantenere o di recuperare la salute, di affrontare problemi di salute e di realizzare la miglior qualità di vita possibile, quale che sia la loro malattia o disabilità, fino alla morte”[10]. 
Analizziamo tale definizione suddividendola in 5 parti.
5.1 … uso del giudizio clinico …
Il giudizio clinico, frutto del ragionamento clinico, è posto nella definizione come primo elemento definitorio.
Perché?
In  antitesi potremmo dire che se l’assistenza infermieristica è una  disciplina pratica sarebbe logico definirla innanzitutto come un  raggruppamento d’interventi utili. Ma è proprio così? Ovviamente no.
È  proprio il concetto di utilità che determina il primato del giudizio  clinico, rendendolo il primo “ingrediente” dell’assistenza  infermieristica. Infatti, qualcosa è utile se serve ad affrontare  problemi e necessità che, però, devono essere preliminarmente compresi e  diagnosticati nel quadro di una situazione sanitaria complessa di una  persona o di una comunità.
Questo ineludibile  passaggio intellettuale è molto impegnativo perché il diagnosticare non  può limitarsi al constatare i segnali osservabili che provengono dalla  realtà, in quanto i problemi spesso non sono espliciti.
In  assenza del ragionamento clinico, quindi, l’assistenza si ridurrebbe a  una forma di aiuto non professionale, di buon senso, erogabile da  chiunque. Non per nulla in Italia gli infermieri sono considerati  professionisti intellettuali[11].  Questo riconoscimento rappresenta un importante aspetto formale,  connesso alla regolamentazione professionale; ma non dobbiamo  dimenticarci che esso origina dalla natura stessa dell’assistenza  infermieristica e dalle competenze diagnostiche, decisionali e  valutative necessarie per il suo esercizio.
Il  ragionamento clinico, quindi, è consustanziale all’assistenza  infermieristica. Senza il primo viene a deprivarsi la natura stessa  della seconda.
Altro aspetto.
Il  giudizio clinico, nella definizione citata, è considerato in termini  molto operativi, espressi dalla locuzione “uso del giudizio clinico”.
Ma per che cosa?
Possiamo  ritrovare una prima risposta addirittura in una norma, nel profilo  professionale dell’infermiere: per “identificare i bisogni di assistenza  infermieristica della persona e della collettività”[12].
Ma non basta.
Allargando la prospettiva, l’uso del giudizio clinico serve a comprendere[13]  l’evolvere della situazione di salute complessiva dell’assistito, in  ragione degli interventi di aiuto effettuati e in relazione alla sua  storia, alla sua cultura, alle sue abitudini, al suo progetto di vita.
Usare  il giudizio clinico vuol dire, quindi, per l’infermiere, collocarsi in  una prospettiva di attenzione, di esplorazione e di scoperta[14]. E, come dice M. F. Collière[15],  scoprire significa accettare di non sapere all’inizio, ma osare andare  oltre lo sconosciuto di cui è portatrice ogni persona che necessita di  cure, la quale, a sua volta, affronta l’ignoto di colui che cura. In  questo processo di scoperta non è l’esploratore, l’infermiere, che con  il suo sapere determina la direzione; sono le persone assistite che  hanno in mano il filo conduttore che serve a guidare l’infermiere. Esse  costituiscono la prima fonte di conoscenza non solo per quel che dicono  di se stesse ma anche per tutto ciò che lasciano trasparire attraverso  il “linguaggio silenzioso” dei gesti, degli sguardi, degli  atteggiamenti. Non si tratta mai, quindi, nell’uso del giudizio clinico,  di studiare isolatamente l’uno o l’altro aspetto, ma piuttosto di  ascoltare e di cogliere i segni e i legami che s’instaurano tra i  diversi aspetti, per capire ed esplicitare ciò che le persone tentano di  comunicarci, ciò che le preoccupa e ciò che crea loro problema. 
5.2 … nell’erogazione delle cure …
L’uso del giudizio clinico, nella definizione, è collocato in modo subordinato al concetto di ”erogazione delle cure”.
Due riflessioni sul termine “erogazione”.
La  prima è che esso evoca un processo e non un’azione puntuale, come, ad  esempio, farebbe pensare, invece, la parola prestazione. Ciò mette in  risalto il fatto che l’assistenza infermieristica non può essere  concepita come semplice somma di atti tra loro scollegati; essa è un  armonico fluire di attività, decise, integrate, orientate a un  risultato.
La seconda riflessione è riferita al  fatto che, allorquando la definizione precisa “nell’erogazione”, intende  esprimere, attraverso quel “nel”, che l’uso del ragionamento clinico  non è collocabile in un momento definito, che precede o che segue le  cure; esso permea costantemente il loro svolgersi. È a loro contestuale.  Sta nelle cure.
Il termine cura, a sua volta, ha  significati plurimi: diligenza, impegno, insieme di medicamenti e rimedi  per il trattamento di una malattia, interessamento sollecito e costante  per qualcosa o qualcuno, sollecitudine, premura, attenzione.
In  questo contesto facciamo riferimento prevalentemente agli ultimi  significati, che possiamo riassumere con la locuzione “prendersi cura”.
In questo senso la cura è un sistema sollecito di azioni di aiuto, scientificamente ed eticamente fondate[16].
Anche  la parola “azione” merita una precisazione, tanto più oggi, perché è  soggetta a interpretazioni non sempre appropriate o quanto meno molto  influenzate dal concetto di “produttività”.
La  vita è azione, non produzione. L’azione mette gli uomini in relazione  tra loro; non si può dire altrettanto della produzione. L’azione ci  riduce il rischio di valutare quel che facciamo solo in base alle  qualità tecniche o all’efficacia immediata, tipiche di un fare tecnico.
L’agire,  tanto più in campo professionale, consiste dunque non in un semplice  fare, ma più propriamente in un “dar senso” a quel che si fa e nel  trasformare una realtà. L’essere agenti ci fa transitare dal concetto di  “operatore” a quello di “autore”, suggestivamente suggerito da Ivan  Cavicchi[17].
E  allora possiamo domandarci come infermieri se quel che abitualmente  facciamo è un agire o non piuttosto un semplice “mettere in esecuzione”,  in conformità agli automatismi della vita corrente. Ci è dato spesso  constatare, purtroppo, che ciò che facciamo lo facciamo semplicemente  perché ”si fa” o, più spesso, perché si “deve fare”.
L’assistenza infermieristica, nella sua interpretazione autentica, si fonda sull’agire e non solo sul fare o sull’eseguire.
Dall’agire promana l’essenza del concetto di responsabilità[18]  che significa innanzitutto, etimologicamente, fornire una risposta di  cui ci si fa garanti. E la risposta persegue un risultato utile per  l’assistito, nella misura in cui, come è stato detto poc’anzi, siamo  stati attenti e lo abbiamo “ascoltato” nelle sue esigenze[19].
Esigenze, risposte, risultati: ecco la triade dell’agire che esonda dai confini del fare e che rende l’infermiere credibile e accountable.
Ma l’accountability,  termine difficilmente traducibile in italiano, non riguarda solo il  singolo infermiere; riguarda la “responsabilità sociale” di una  professione nel suo insieme, cioè al dovere che essa ha, per essere  legittimata socialmente, di rispondere delle proprie scelte culturali e  sociali e dell’impatto che queste hanno sulla salute della società. La  tipologia e la qualità dell’erogazione delle cure, quindi, non è  lasciata solo alla discrezionalità del singolo professionista; è anche  una responsabilità e un’opzione del sistema professionale a cui egli  appartiene. 
5.3 … per rendere le persone capaci di …
Questa parte di definizione costituisce “l’anima” della stessa.
Se facciamo riferimento al termine inglese originario utilizzato nel testo (to enable),  scaturiscono una serie di significati quali: “rendere abile”,  “diventare in grado di” ma anche di “dare autorità”, “dare opportunità  di” che evocano un atteggiamento ispirato al potenziamento del potere  personale dell’assistito verso la sua autonomia; aspetto che, in altri  termini, viene definito empowerment.
La  parola, di difficile traduzione nella lingua italiana, veicola un  duplice significato: sia quello di processo operativo che conduce a un  certo risultato, sia quello di risultato stesso, cioè lo stato “empowered”  del soggetto, in crescita costante, progressiva e consapevole delle sue  potenzialità, delle capacità di decidere, di agire, di assumere  responsabilità nell’affrontare la realtà che lo circonda, della  percezione di autostima e di autoefficacia.
I  problemi di salute rappresentano un limite, più o meno elevato a seconda  dei casi, all’autonomia della persona, incidendo sulla sua stabilità  clinica, sulla sua responsività e sulla sua indipendenza. L’assistenza  infermieristica parte proprio dalla valutazione del livello di  complessità di questa condizione e persegue la restituzione alla  persona, per quanto possibile, di capacità di presa di decisioni e di  realizzazione di azioni che riguardano la salute all’interno del proprio  progetto di vita. In altri termini, l’assistenza infermieristica  accompagna la persona nella riconquista del massimo livello possibile  della capacità di vivere autonomamente la propria vita quotidiana,  attraversando la malattia. Ecco il significato di “far crescere”, di  “educare” trasmesso dall’etimologia, prima citata, del termine nursing.
A  questo proposito, è suggestivo che il titolo del testo principale di M.  F. Collière, già precedentemente citato, sia proprio: “Aiutare a  vivere”.
5.4 … migliorare, mantenere o recuperare la salute, affrontare problemi di salute …
È  da sottolineare, innanzitutto, come la definizione esalti, attraverso  l’uso dei verbi migliorare, mantenere, la posizione centrale e attiva  del soggetto assistito, in ragione della quale si giustifica la funzione  di sostegno dell’infermiere e il concetto, spesso poco declinato, di  personalizzazione dell’assistenza.
Questa parte della definizione precisa due aspetti.
Il primo è il dominio[20]  dell’assistenza infermieristica: le reazioni (fisiologiche,  psicologiche, sociali, culturali o spirituali) e le esperienze uniche  delle persone nei confronti della salute, della malattia, della  fragilità e della disabilità.
Il secondo è lo  scopo dell’assistenza infermieristica: promuovere la salute, la  guarigione, la crescita e lo sviluppo e prevenire la malattia, il danno e  l’incapacità e, quando le persone si ammalano o diventano disabili,  minimizzare la loro angoscia, la loro sofferenza e consentire loro di  capire e affrontare la loro malattia, l’incapacità, il trattamento e le  relative conseguenze. 
5.5 … e di realizzare la miglior qualità di vita possibile, quale che sia la malattia o la disabilità, fino alla morte
È  difficile ragionare sulla qualità di vita senza ragionare sulla  persona, perché “la persona è la sua vita”, costituita non soltanto da  realtà biologica, chimica e fisica, ma anche da razionalità,  autocoscienza, autodeterminazione; non soltanto da corporeità, ma anche  da sentimento ed emozione, socialità, spiritualità. Ed è l’originale e  unica “combinazione alchemica” di questi aspetti che determina la “sua”  qualità di vita. Per questo il concetto è difficilmente riconducibile a  standard prefissati e va accolto in tutta la sua ricchezza e complessità  antropologica.
E allora? Che cosa ne consegue per l’assistenza infermieristica?
Ricollegandoci al concetto di empowerment  prima citato, essa può accompagnare e sostenere la persona nel  ritrovare, dentro e fuori di sé, le condizioni necessarie per dare nuovo  senso a situazioni esistenziali mutate dalla malattia o dalla  disabilità, nella propria prospettiva individuale e all’interno di un  sistema di valori di riferimento che, tra l’altro, costituisce il  criterio essenziale per valutare limiti e possibilità dell’intervento  infermieristico.
Fino alla morte, certo.
Torna  alla mente il famoso passaggio della definizione di Virginia Henderson  allorché afferma, tra le funzioni dell’infermiera, quella di aiutare  l’individuo a vivere una morte serena. In questa parola “serena” è  racchiusa l’essenza della qualità del morire.
Il morire è comunque un atto della vita perché “morte” non è contrario di “vita”. Essa concettualmente è, sul continuum della vita, l’altro polo della nascita.
La morte riguarda tutti e non guarda in faccia a nessuno. Ma ciascuno guarda in faccia la morte, a suo modo.
Si  può dire che vi sono infiniti modi di morire, almeno quanti sono gli  uomini. Perché ciascuno si atteggerà dinanzi all’atto finale della  propria vita, così com’è e com’è stato, con la sua storia, la sua  cultura, la sua religione.
Ognuno si avvicinerà  alla morte a modo suo. Ma è importante per chi è chiamato ad  accompagnare la persona nel suo ultimo viaggio, comprendere che cosa può  significare per lei la parola “fine”, quali mondi futuri s’attende di  incontrare, quali angosce, quali paure vive, da quali riferimenti spera  di lasciarsi illuminare. Tutto questo per percorrere serenamente  insieme, senza pregiudizi o letture distorte, l’ultimo pezzo di strada,  sino a quella soglia che, comunque vada, quella persona varcherà  drammaticamente sola. 
6. Una riflessione finale
La definizione di assistenza infermieristica del documento analizzato si presta a numerosi approfondimenti, studi e ricerche.
Essa rappresenta un modo per qualificare la professione infermieristica come “professione di servizio”[21]. Nei servizi ciò che si produce è immateriale, invisibile, quindi, non riconducibile, in termini reificanti[22],  alle prestazioni o agli strumenti. Un servizio si colloca, invece, nel  quadro estremamente variabile delle relazioni tra un erogatore e un  fruitore, e si produce contestualmente al suo consumo. La sua qualità,  quindi, è intrinseca all’attività che lo realizza.
Nel  quotidiano questa logica di servizio colloca l’infermiere su due  dimensioni interagenti: quella orizzontale, pragmaticamente  circostanziata, quando egli sceglie e realizza ciò che serve per ogni  persona assistita. Quella verticale, più concettuale, quando nel  decidere ciò che serve egli fa riferimento alla prefigurazione mentale  che si è costruito di ciò che serve. In altre parole l’infermiere decide  e agisce con la singola persona assistita a partire da ciò che lui,  come membro di una comunità professionale, pensa sia l’assistenza  infermieristica.
E in questo la definizione  considerata nel documento, e non solo, dovrebbe diventare patrimonio  culturale di riferimento per tutta la comunità professionale evitando,  come ricordato all’inizio, ambiguità e individualismi interpretativi.
Ma questo non è sufficiente.
Perché  l’assistenza infermieristica, così descritta e possibilmente  interpretata nella realtà, non può basarsi solo sulla volontà e sulla  competenza dei singoli infermieri o sull’avere le idee chiare. Richiede  scelte politico-organizzative e investimento di tempo e di energia. Ciò  interroga prepotentemente la cultura organizzativa.
Per  “dare tempo” all’assistenza infermieristica è necessario che  l’organizzazione lo consenta, ponendosi al suo servizio e non viceversa.
Per  “dare energia” all’assistenza infermieristica è necessario prendersi  cura di chi si prende cura. Non si può chiedere agli infermieri di  essere autori di cure di qualità, così come il documento descrive, se si  sottovaluta la fatica e la pressione emozionale a cui sono sottoposti o  se sono “strumentalizzati” allorché, ad esempio, la loro pratica si  riduce all’esecuzione ripetitiva di atti.
Allora,  si deve intervenire, ai vari livelli, nel riprendere la rotta del  prendersi cura, investendo tempo ed energia su chi si prende cura,  ravvivando un circolo virtuoso condito da immaginatività, creatività,  audacia per ripensare strategicamente la pratica e la cultura  organizzativa in cui essa si sviluppa, per renderle più coerenti con la  natura profonda e autentica dell’assistenza infermieristica.
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 In sintesi Il giudizio clinico è consustanziale all’assistenza infermieristica: l’assenza del primo depriva la natura stessa della seconda, limitandola a una forma di aiuto aspecifico erogabile da chiunque. Usare il giudizio clinico vuol dire per l’infermiere collocarsi in una prospettiva di scoperta di ciò che le persone esprimono in merito a ciò che le preoccupa e che crea loro problema; vuol dire altresì comprendere l’evolvere della situazione di salute dell’assistito in rapporto al suo progetto di vita. L’assistenza infermieristica non è solo fare o eseguire: è decidere e agire, in modo scientificamente ed eticamente fondato, per un risultato. Dall’agire promana l’essenza della responsabilità dell’assistenza infermieristica: fornire, alla persona assistita, una risposta utile di cui l’infermiere è autore e garante. L’assistenza infermieristica persegue il potenziamento del potere personale dell’assistito (empowerment) nel dare nuovo senso a situazioni esistenziali mutate, nel migliorare l’autonomia del suo vivere, nell’affrontare con serenità il suo morire. L’infermiere appartiene a una professione di servizio: egli decide e agisce con la singola persona assistita a partire da ciò che lui, come membro di una comunità professionale, pensa sia l’assistenza infermieristica. La concezione di assistenza infermieristica è un patrimonio collettivo di una professione che, per essere legittimata socialmente, ha il dovere di rispondere delle proprie scelte culturali e sociali e dell’impatto che queste hanno sulla salute della società (accountability). L’assistenza infermieristica richiede investimento di tempo e di energia: è necessario, quindi, un ripensamento della cultura organizzativa che dovrebbe porre l’organizzazione a servizio dell’assistenza e prendersi cura di chi si prende cura.  | 
[1] Scaricabile integralmente dal sito: http://www.rcn.org.uk/__data/assets/pdf_file/0008/78569/001998.pdf.
[2] Guy Le Boterf, Costruire le competenze individuali e collettive, Alfredo Guida Editore, Napoli, 2008, p. 11.
[3] Virginia Henderson, Che cos'è il nursing?: una definizione e le sue implicazioni per la prassi, la ricerca e la formazione infermieristica, trad. a cura di Vera Maillart e Maria Rosa Marchi, Firenze, Regione Toscana. Dipartimento Sicurezza Sociale, 1978.
[4] Il termine è usato nel significato di forza che dirige, di energia che spinge verso una meta.
[5] Guy Le Boterf, op cit., p. 129.
[6] Consociazione nazionale infermieri e altri operatori sanitario-sociali.
[7] Consociazione nazionale associazioni infermiere/i.
[8] http://www.cnai.info/images/stories/cnai/congressi/1972.pdf.
[9] Il termine “persone” include individui di tutte le età, famiglie e comunità, in tutto il loro arco di vita.
[10] Si riporta la definizione in lingua originale: “ Nursing is the use of  clinical judgement in the provision of care to enable people to improve,  maintain, or recover health, to cope with health problems, and to  achieve the best possible quality of life, whatever their disease or  disability, until death”.
[11]  Ai sensi dell’art. 2229 del codice civile che afferma al comma 1: “La  legge determina le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali  è necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi”.
[12] Dm 739/94, art. 1 comma 3, punto b).
[13]  Comprendere etimologicamente vuol dire propriamente “prendere insieme”;  per traslato: “intendere appieno”, “afferrare con l’intelletto”.
[14]  Scoprire etimologicamente vuol dire propriamente “rimuovere ciò che  nasconde”; per traslato: “trovare ciò che prima non si vedeva”.
[15] M. F. Collière, Aiutare a vivere, Sorbona. Milano, 1992.
[16]  Il documento precisa che l’assistenza infermieristica è un processo  intellettuale, fisico, emotivo e morale che include l'identificazione  dei bisogni infermieristici; gli interventi terapeutici e la cura  personale; le informazioni, l'educazione, il consiglio e la difesa; il  supporto fisico, emotivo, spirituale. E che, oltre alla cura diretta al  paziente, la pratica infermieristica, include la gestione,  l'insegnamento, la politica e lo sviluppo di conoscenze.
[17] Docente di Sociologia delle organizzazioni sanitarie e Filosofia della medicina all'Università Tor Vergata di Roma.
[18] Responsabilità etimologicamente deriva dal latino rispondere, rispondere.
[19]  È curioso come il vocabolo “vocazione”, ormai desueto e qualche volta  osteggiato, letteralmente significhi risposta a una chiamata, a una  voce. E una voce ascoltata è sempre di un altro.
[20] Oggetto di conoscenza specifico di una disciplina.
[21] Servizio = essere utile.
[22] Da res = cosa, cioè “rendere cosa”.
			
		




