Dimissioni difficili: dalla rilevazione di criticità alla costruzione di un’opportunità, il Care manager


Da dove nasce il progetto? Il progetto prende vita da due criticità che attraversano il quotidiano infermieristico, criticità che si sono trasformate in un’opportunità grazie al confronto che si è sviluppato tra chi “assiste” e chi “organizza per assistere”.

La prima criticità
La prima scaturisce dall’ambito assistenziale e, nello specifico, dalla difficoltà a pianificare le dimissioni e, in particolare, le cosiddette dimissioni difficili.
Pianificare le dimissioni è un argomento fortemente dibattuto che si pone come obiettivo quello di garantire una dimissione al domicilio più sicura, cercando di prevenire le riammissioni e altri problemi che potrebbero allungare i periodi di cura ospedaliera e ulteriori disagi per il malato.
Per comprendere al meglio la criticità partiamo all’analisi di un caso emblematico che ha coinvolto un gruppo di lavoro.

La signora Luisa vive sola, ha due figli, di cui uno vive nella sua stessa città mentre l’altro vive lontano. Lei è sempre stata indipendente e autonoma sia nei movimenti che nelle decisioni, è aiutata, due giorni alla settimana, nelle faccende domestiche da una vicina di casa. È stata trovata a terra in camera da letto dopo circa 24 ore dalla caduta, dal figlio che abita lontano, la signora non si ricorda nulla.
La signora è una paziente cirrotica, viene definita un po’ confusa in quanto non si ricorda di essere caduta e continua a sostenere che era nel letto a leggere il giornale e poi si è ritrovata in ospedale. Questo suo non ricordarsi la irrita, … dice di essere un po’ pasticciona, … non ascolta nessun consiglio, vuole fare come decide lei. Il figlio riferisce che la madre beve alcolici, la signora nega…
Scala Brass: classe alta.
È una dimissione difficile? Certo. L’applicazione della scala di Brass (Blaylock risk assesment screening) evidenzia come la situazione possa essere catalogata nella classe ad alto rischio, una classe che richiede un’approfondita valutazione multiprofessionale. Forse però è necessario, oltre a una prima “catalogazione”, domandarsi quale “presa in carico della persona assistita” è stata fatta, quale è necessaria….
Cosa conosciamo di questa persona? Cosa sappiamo delle sue scelte, delle sue difficoltà, delle sue risorse?

ex giornalista”… classe 1943 scolarità: scuola media superiore… nel 1950 solo il 4% degli italiani avevano questo livello scolastico. Come ci siamo rivolti a lei? Che cosa lei vuole fare? Di che cosa pensa di avere bisogno?
Ha due figli, uno non è presente, l’altro è molto spaventato, si è rivolto autonomamente ai servizi sociali territoriali per cercare una soluzione, “licenzia” la vicina di casa e assume una ragazza di circa vent’anni che dovrebbe passare un’ora al giorno tutti i giorni dalla madre… Gli infermieri hanno allertato i servizi sociali ospedalieri.
La Signora vuole essere dimessa e tornare a casa, il figlio non vuole che sia dimessa, vuole che sia trasferita in una struttura residenziale.

Progettare una dimissione superando una visione “burocratica amministrativa” necessita di condividere con la persona la sua progettualità. Una progettualità che non può essere limitata a cose da fare ma alle scelte che la stessa ritiene possibile fare in ragione della sua storia, delle sue risorse, della sua rete sociale… La possibilità di condividere è vincolata a un rapporto fiduciario che si stabilisce tra la persona e i professionisti che l’assistono. È inoltre di fondamentale importanza il colloquio con i parenti attraverso il quale si possono individuare sia l’autonomia del paziente prima del ricovero sia il sostegno sociale, le necessità istruttive, i fattori ambientali (barriere architettoniche), le aspettative e le risorse a disposizione.
Come è facilmente intuibile sono le persone appartenenti alle “fasce deboli”, in particolare le donne e gli anziani le categorie che risultano maggiormente a rischio. 

La signora viene dimessa il sabato, in forma anticipata rispetto a quanto pianificato, le viene consegnata la lettera di dimissione indirizzata al suo medico di base, viene effettuata segnalazione ai servizi sociali…. Il figlio minaccia di denunciare in quanto non ritiene sua madre sufficientemente tutelata, la signora si sente sminuita, ritiene di essere trattata come “un’incapace”.
La signora viene nuovamente ricoverata dopo 8 giorni per caduta, durante l’accettazione si evidenzia che la signora non aveva contattato né il Mmg né i servizi territoriali…
La dimissione ospedaliera rappresenta un momento critico sia per il paziente che per la sua famiglia. Ecco allora che la pianificazione della dimissione, definita da Rorden & Taft come “un processo costituito da una serie di fasi il cui obiettivo immediato è quello di anticipare i cambiamenti dei bisogni di cura, mentre l’obiettivo a lungo termine è quello di garantire la continuità delle cure sanitarie”, diventa una operazione importante e delicata.
Un caso tra i tanti, l’analisi effettuata ci aveva evidenziato il nostro orientamento al “fare” delle cose legate alla sfera della dipendenza/indipendenza e non al prospettarsi – pre-occuparci – di individuare con la persona possibili percorsi dando il giusto valore alla storia della signora. Una dimissione difficile ma anche una difficoltosa presa in carico…

La seconda criticità
Le norme che regolano il funzionamento del Servizio sanitario richiamano sempre con più frequenza concetti di maggiore “qualità”, “appropriatezza”, “efficacia” ed “efficienza” nell’erogazione di un servizio per la “salute” che, nel contempo, non deve eccedere nei costi a carico di tutta la collettività.
Sostenere la qualità necessita di una strategia di valorizzazione delle competenze degli operatori che da una parte evidenzi l’esercizio necessario di nuove responsabilità nel ruolo degli stessi (nel rispondere alle esigenze dell’utente così come nel creare quel clima collaborativo per lavorare sinergicamente) e, dall’altra, formalizzi lo sviluppo di tali competenze in modo tale che siano riconosciute e riconoscibili all’interno della struttura organizzativa.
La Responsabile della Direzione delle professioni sanitarie si trovava quindi da una parte a raccogliere il disagio vissuto dai gruppi infermieristici, sia ospedalieri sia territoriali, rispetto alla difficoltà nel garantire quella continuità della quale si sentivano responsabili e, dall’altra, pressata dall’esigenza di individuare un sistema di sviluppo professionale strutturato e definito per evitare elementi di autoreferenzialità. Considerando che il sistema doveva ancorarsi obbligatoriamente all’obiettivo di rispondere alle esigenze dei pazienti, la Responsabile, in accordo con i coordinatori dei dipartimenti, costruisce un progetto organizzativo che, attraverso una modalità di lavoro flessibile, possa sostenere una rete consulenziale interna alle aree omogenee e alla stessa Azienda per affrontare il problema della continuità dell’assistenza. Inoltre la Responsabile coglie le opportunità fornite, da una parte dal progetto di ricerca finalizzata della Regione Piemonte – per il finanziamento dello stesso – e, dall’altra, dal sistema di progressioni verticali (D-DS) per il riconoscimento delle “nuove” figure messe in campo.

La costruzione di un’opportunità: il care manager
L’idea alla base di questo progetto era l’introduzione di figure professionali dedicate, i care manager, cioè infermieri qualificati, che interagiscono con i pazienti per aiutarli nell’autogestione delle proprie patologie o per educarli a stili di vita più idonei al mantenimento della propria salute, per fornire ai pazienti una nuova forma di assistenza più accessibile e diretta di quelle usualmente presenti. Tale figura quindi non sostituisce alcuna professionalità e ruolo medico ma piuttosto si affianca ad essi in modo coordinato costituendosi quale facilitatore e guida per l’utente e per i colleghi più inesperti.
Il progetto organizzativo, costruito dal Responsabile della Direzione delle professioni sanitarie, prevedeva per ogni area omogenea la presenza di un “Care manager[1]“ quale referente per il gruppo professionale nel caso fosse individuato dallo stesso un “paziente difficile” in termini di continuità assistenziale ospedale-domicilio (dimissione difficile).
Nel progetto erano inoltre specificati:

  • gli obiettivi da perseguire attraverso l’inserimento della figura del care manager nell’ambito delle aree;
  • le funzioni principali del care manager nell’ambito della particolare realtà dell’Asl, nello specifico:
    • analisi dei casi da prendere in carico e ricerca informazioni specifiche;
    • negoziazione con paziente/parente sugli obiettivi realisticamente raggiungibili;
    • pianificazione del percorso di dimissione;
    • impostazione e verifica piani educativi;
    • valutazione del raggiungimento degli obiettivi;
    • valutazione e gestione delle ferite croniche;
    • colloqui con parenti, caregiver e paziente;
    • colloquio con infermieri territoriali, assistenti sociali ospedalieri e territoriali, Mmg;
    • responsabilità della documentazione assistenziale per la dimissione: predisposizione della lettera di dimissione infermieristica nella quale vengono riportati i vari step del percorso del paziente, la loro evoluzione durante il ricovero, il piano terapeutico oltre che il percorso educativo instaurato con la famiglia e i risultati ottenuti;
  • le risorse da attivare e il sistema organizzativo a sostegno del progetto: è stata prevista la necessità di 20 infermieri care manager, sono stati pertanto messi a bando i passaggi per la progressione verticale da D a DS. Sono stati inoltre previsti riunioni semestrali per la valutazione in itinere del progetto e, in particolare, per il monitoraggio delle segnalazioni di dimissioni difficili;
  • le modalità di accesso al bando di selezione: la possibilità di accedere alla ruolo di care manager era subordinata sia al superamento di una selezione basata sulla valutazione del percorso professionale del professionista che si candidava e ai risultati di un colloquio preliminare con i Responsabili della Direzione delle professioni e della formazione, sia alla frequenza e superamento di un corso di formazione.

L’attuazione del progetto ha avuto un feed-back positivo sul livello di soddisfazione dei pazienti che pare aumentare quando la dimissione è pianificata.
Inoltre ha permesso di rendere evidenti taluni aspetti in particolare:

  • a livello organizzativo:
    • il miglioramento delle dimissioni è il risultato di un miglioramento complessivo della presa in carico della persona assistita;
  • a livello assistenziale e disciplinare:
    • la presa in carico delle persone assistite e di conseguenza la pianificazione delle dimissioni non possono essere circoscritte solo a situazioni complesse ma devono essere uno stile di lavoro infermieristico diffuso in quanto:
      • riconoscere il bisogno di assistenza infermieristica e pianificare l’assistenza è un dovere professionale;
      • l’appropriatezza dell’assistenza è subordinata ad un’azione coerente al bisogno;
      • la responsabilità infermieristica non può essere esercitata su atti bensì su risultati che la stessa ottiene o collabora ad ottenere;
      • i risultati prioritari che l’assistenza infermieristica persegue sono il sostegno all’autonomia della persona e alla sua autodeterminazione.

Queste riflessioni, frutto dei risultati positivi del modello Care manager di presa in carico di specifiche persone per le quali erano ipotizzate “dimissioni difficili”, hanno portato alla necessità di passare, quasi come conseguenza naturale, ad un modello organizzativo diverso. Il modello organizzativo scelto è stato quello del Primary nursing, un modello che evidenzia come tutte le persone assistite debbano avvalersi di una presa in carico personalizzata. In questo modello ogni paziente ha un infermiere di riferimento che lo accompagna durante il percorso ospedaliero, lo prepara alla dimissione garantendo una continuità assistenziale ospedale-territorio.
Oggi siamo nella fase di sperimentazione di questo modello, una fase che si è avvalsa del contributo dei Care manager che hanno assunto il ruolo di facilitatori e di consulenti per i colleghi che iniziavano l’esperienza quali infermieri primary sostenendoli nei processi di presa in carico e, su loro richiesta, nei processi di dimissioni complesse.
 


[1] È stato scelto il profilo di “Care manager” a discapito del più conosciuto “Case manager” innanzitutto per la caratteristica specifica allo stesso attribuita di gestire i percorsi e, secondariamente, per l’utilizzo inflazionato del termine “Case” che avrebbe generato dei fraintendimenti nell’ambito delle competenze aziendali già presenti.
 

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Bibliografia

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– Manthey M (2008). La pratica del primary nursing. Il pensiero scientifico editore, Roma.
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