L’assistenza domiciliare alla persona con disturbi psichici: l’esperienza del Dipartimento mentale di Messina sud


Il Dipartimento di salute mentale (Dsm) di Messina sud
Il nostro Dsm è costituito da diverse strutture: il Centro di salute mentale, un centro diurno, due comunità alloggio, un centro di ascolto” Spazio famiglia”. Il Centro di salute mentale, che conta due ambulatori – uno a Messina e uno a Roccalumera, è il punto di riferimento e di coordinamento di tutti gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione per le persone affette da patologie psichiatriche.
Il centro diurno, attivo tre volte la settimana, viene gestito con la collaborazione dei volontari dell’associazione “Filo di Arianna”. Una delle due comunità alloggio accoglie gli assistiti dimessi dall’Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona, mentre il Centro di ascolto “Spazio famiglia” è dedicato ai familiari delle persone affette da patologia psichiatrica.
I servizi offerti comprendono attività cliniche (visite psichiatriche, colloqui con lo psicologo, psicoterapie, terapie farmacologiche), attività di prevenzione (informazione/formazione presso scuole, enti, diversi settori del sociale), attività riabilitative (assistenza primaria, eventi di socializzazione, inserimenti lavorativi) e attività di assistenza infermieristica (accoglienza, osservazione, colloqui, gestione della terapia).
Oltre a questi brevemente descritti, sono attivi anche un servizio di psichiatria transculturale e un servizio di supervisione e di parent training per il progetto rivolto alle persone autistiche.
Tutte le prestazioni dei nostri servizi sono erogate sia in regime ambulatoriale che domiciliare: l’esperienza maturata nel corso degli anni ci ha portato a considerare il territorio e in particolare il domicilio dell’assistito, il fulcro delle nostre attività. 

La nostra esperienza in assistenza domiciliare
In linea con la normativa nazionale e regionale, abbiamo attivato l’assistenza domiciliare: a comporre l’équipe assistenziale sono psichiatra, infermiere e assistente sociale.
L’esperienza descritta riguarda 10 persone con una diagnosi di grave psicosi cronica, seguite a domicilio per un periodo che va da sei mesi a un anno. Sono tutte donne di età compresa tra 45 e 60 anni, single o separate (una coniugata) con livello di scolarità bassa e non occupate. Seppur con modalità diverse, tutte le assistite presentavano: resistenza ai trattamenti ambulatoriali, scarso insight di malattia, reticenza ad assumere i farmaci, tendenza all’isolamento, scarsa tendenza alla socializzazione. Per ogni assistita, preferendo un approccio psicodinamico, è stato definito un programma terapeutico personalizzato tenendo conto dei punti di forza sui quali fare leva e dei punti di debolezza da considerare.
Per l’assistenza domiciliare sono state individuate infermiere e non infermieri: a orientare questa scelta da parte del Dsm è stata l’ipotesi che gli interventi erogati da personale dello stesso genere potessero essere più facilmente accettabili dalle nostre utenti.
Ogni caso ha avuto un’infermiera referente ed è stato discusso in équipe per permettere a ciascun membro del team di conoscerli tutti e di favorire così lo scambio e il confronto costante sulle strategie di volta in volta adottate per raggiungere gli obiettivi pianificati per le assistite prese in carico.
L’intervento a domicilio ha favorito la relazione con le utenti, l’aumento della consapevolezza di malattia e migliorato l’adesione al regime terapeutico. A testimonianza dei risultati ottenuti con l’assistenza a domicilio proponiamo di seguito una descrizione sintetica di tre casi in particolare: Elisa, Marcella, Maria. 

Il caso di Elisa, la donna dal vestito di plastica
Elisa, 60 anni, era stata segnalata dai carabinieri, che avevano raccolto la segnalazione di una volontaria. Dalle poche notizie raccolte avevamo saputo che Elisa viveva da sola in una casa fatiscente dove mancano servizi primari quali l’acqua e la luce. Sulla base della segnalazione e dei dati raccolti abbiamo programmato un intervento domiciliare. Al primo approccio Elisa era apparsa impacciata, in difficoltà, sospettosa e diffidente. Al primo incontro, seppure curata nell’aspetto indossava delle buste di plastica sopra i vestiti e anche i suoi capelli erano coperti di un telo di plastica: esprimeva una grande sofferenza, avvertiva la presenza di persone che l’osservavano e che le volevano male tanto da emettere raggi malefici che colpivano il suo corpo minandone l’integrità.
La sua giornata era prevalentemente impegnata a procacciarsi l’acqua nella vicina stazione ferroviaria; operazione rischiosa perché richiedeva ogni volta l’attraversamento dei binari. Qualche volta usciva di casa per recarsi poco distante a comprare ciò che le serviva: era sempre affaccendata in molteplici cose da fare.
Le visite domiciliari da parte delle infermiere che l’avevano presa in carico si sono susseguite nel tempo iniziavano e finivano sulla soglia del cancello di casa. Così abbiamo pian piano conosciuto Elisa: ultimogenita di quattro fratelli, unica figlia a non essersi sposata, ha vissuto con i genitori fino alla loro morte. Un diploma di insegnante d’infanzia con qualche esperienza lavorativa saltuaria e quindi, senza un reddito fisso; dopo la morte dei genitori, che nel suo delirio sono adottivi, aveva interrotto i rapporti con i familiari e iniziato a vivere da sola in condizioni di estrema indigenza.
Elisa non aveva consapevolezza della sua malattia e per questo si è sempre isolata non accettando mai alcun aiuto e dedicandosi alla costruzione di oggetti con materiali diversi: i gatti, i suoi unici amici.
Dopo il ritorno a casa in seguito ad un Tso, necessario per le sue condizioni, le visite domiciliari hanno prodotto un miglioramento della situazione generale: ora riconosce i propri affetti e le proprie emozioni, accetta di rivedere i suoi familiari, è consapevole dei suoi bisogni primari e, dopo tanti anni di isolamento, inizia a socializzare anche con altre persone. Si lascia curare pur mantenendo una certa “riserva”. Partecipa anche alla riorganizzazione della casa, le viene riconosciuta anche una pensione di invalidità. Ora Elisa viene anche in ambulatorio accompagnata dall’assistente sociale del servizio anziani che, insieme a una nipote, si occupa degli aspetti di vita quotidiana.
È cordiale con tutti e le infermiere che l’hanno seguita in questo lungo periodo continuano a essere il suo principale punto di riferimento. Oggi Elisa indossa abiti ed accessori che la rendono una donna composta ed elegante. 

Il caso di Marcella, stazione centrale binario 2
Il primo incontro con Marcella era avvenuto al binario 2 della stazione: era stata segnalata dal marito preoccupato per i suoi comportamenti incongrui e bizzarri. Versava, infatti, in un grave scompenso psicotico ed era decisa a partire per mete ignote. Questa situazione rese necessario un Tso.
I problemi di Marcella iniziarono dopo la nascita delle sue tre gemelle, periodo in un cui iniziò una ideazione caratterizzata da dubbi e diffidenza e accompagnata da comportamenti strani, allucinazioni visive ed uditive. Negli anni ha avuto periodi di buon compenso che le hanno permesso di occuparsi della crescita e dell’educazione delle sue figlie e della gestione della casa. Quando però sospendeva, in modo arbitrario, la terapia aveva frequenti ricadute.
Gli accessi ambulatoriali erano iniziati dopo la dimissione dall’ospedale: lei veniva in ambulatorio regolarmente. A distanza di molto tempo l’abbiamo rivista presso il Csm accompagnata dal marito: a causa della discontinuità terapeutica erano ricominciate le ricadute. Per gestire i nuovi problemi era stato definito un programma d’intervento che prevedeva l’accesso ambulatoriale giornaliero per l’assunzione della terapia. Nonostante questo, Marcella tentò il suicidio, “per difendersi dai cani che la inseguivano per sbranarla”: per le fratture multiple riportate agli arti inferiori, fu ricoverata presso l’unità operativa di ortopedia. A casa rimase a letto per un lungo periodo ed ebbe altri ricoveri per altri interventi chirurgici.
Per gestire al meglio l’assistenza a Marcella furono attivate le visite domiciliari: la presenza regolare e costante delle infermiere ha contribuito significativamente al miglioramento delle condizioni cliniche e della consapevolezza di malattia. Oggi, a distanza di due anni Marcella riconosce la necessità di assumere i farmaci regolarmente, è meno diffidente e accede regolarmente all’ambulatorio, anche se per deambulare ha bisogno dei tutori. 

Il caso di Maria, la maestosa
Maria viveva in un nucleo familiare composto dal padre anziano in condizioni di salute precarie e da una sorella verso la quale aveva comportamenti ambivalenti. I suoi sintomi cominciarono a manifestarsi nel periodo in cui frequentava la facoltà di giurisprudenza: il cronicizzarsi dei sintomi la costrinse a lasciare l’università. L’abbandono degli studi aumentò l’isolamento e l’allontanamento da tutto e da tutti. Maria rimaneva sempre in casa e, in particolare nella sua stanza in compagnia della gatta e della tartaruga. Dopo la morte della madre Maria iniziò a trascurare la cura della propria persona e ad avere episodi frequenti di bulimia. Nel tempo i disturbi del comportamento alimentare portarono ad una compromissione dell’assetto metabolico con conseguente obesità grave. L’adesione al regime terapeutico era saltuaria e il suo rapporto con gli operatori del Csm molto schivo. Gli interventi programmati a domicilio erano finalizzati a promuovere l’attenzione di Maria sulla cura personale, della casa, a favorire la socializzazione e al monitoraggio del regime terapeutico. Le visite domiciliari portarono ad alternare momenti di regressione a periodi di miglioramento che, man mano che aumentava la fiducia di Angela nei confronti degli operatori, si consolidarono.
Oggi Maria deve essere ancora stimolata a prendersi cura di sé in maniera adeguata ma la situazione generale è significativamente migliorata: partecipa anche a qualche uscita di gruppo, appare più responsabile e consapevole delle sue potenzialità. Frequenta l’ambulatorio e dimostra interesse verso altre proposte di trattamento. 

Alcune considerazioni
Nei casi descritti l’assistenza domiciliare è stata efficace: la scelta del personale infermieristico di genere femminile si dimostrata positiva nell’assistenza di donne con patologia psichiatrica cronica grave. Le pazienti hanno avuto modo di rispecchiarsi in altre donne attivando meccanismi introiettivi e proiettivi, utili per nuovi modelli identificatori. Tutte, seppure con delle differenze, hanno avuto un buon compenso del loro stato di salute e un miglioramento della qualità della vita.
 

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Bibliografia

– Gislon M C. Il colloquio clinico e la diagnosi differenziale. Bollati Boringhieri, Torino, 1993.
– Gnocchi E, Guizzetti M T, Ingelsson U, Memmi V, Palumbo A, Skagerlind L, Tacchini M A. L’infermiere psichiatrico. Bollati Boringhieri, Torino, 1991.
– Gnocchi E, Memmi V, Tacchini M A. Nuovi modelli di intervento dell’infermiere psichiatrico. Bollati Boringhieri, Torino, 1993.
– Tacchini M A. Professione infermiere nei servizi psichiatrici dalla teoria alla prassi. Masson, 1998.
– Zapparoli G G C e al. La psichiatria oggi. Bollati Boringhieri, Torino, 1994.