Il concetto di resilienza nel contesto infermieristico


Lo sviluppo di una disciplina implica il riesame continuo delle teorie e dei concetti che la compongono, anche di quelli ritenuti core o fondamentali. In questo quadro uno dei fenomeni che riscuote oggi un notevole interesse multidisciplinare è quello della resilienza vale a dire dell’“idoneità di una persona ad affrontare le avversità e a superarle”([1]).
L’attenzione crescente nel nursing per la resilienza trova riscontro:

  • nell’aumento del numero di articoli sul tema. Infatti, una ricerca in Pubmed e Cinahl su riviste infermieristiche, dal 1981 ad oggi, evidenzia che il tema della ‘resilience’ è stato oggetto del 22% delle pubblicazioni, datate 2011 e primi 11 mesi del 2012 (al 19 novembre 2012 reperiti 199 articoli: 160 da Pubmed e 39 da Cinahl);
  • nell’assegnazione da parte di Pubmed del MeSH Resilience, Psychological nell’anno 2009;
  • nell’inclusione nell’agosto 2009 da parte della North American nursing diagnosis association della resilienza tra le diagnosi infermieristiche del gruppo “Integrità dell’Io” (Ego-integrity) vale a dire tra le “capacità di sviluppare e utilizzare le competenze e comportamenti per integrare e gestire esperienze di vita”([2]).

Tra i lavori reperiti, quelli ritenuti importanti per fornire una migliore comprensione del concetto sono tre articoli ed un lavoro accademico di concept analysis sulla resilienza. (Tabella 1).

Tabella 1 – Lavori scientifici infermieristici sul concetto di resilienza che applicano il metodo della concept analysis secondo Walker&Avant (2005)

1

Dyer J G, McGuinness T M (1996). Resilience: analysis of the concept. Archives of Psychiatric Nursing, 10(5),276-82

2

Gillespie B M, Chaboyer W, Wallis M (2007). Development of a theoretically derived model of resilience through concept analysis. Contemporary nurse, 25(1-2),124-35

3

Earvolino-Ramirez M (2007). Resilience: a concept analysis. Nursing forum, 42(2),73-82

4

Cooper L (2008). Concept analysis: resilience. (Dissertation) Pacific Lutheran University School of nursing (Internet). Consultato il 19 aprile 2012, disponibile all’indirizzo: http://www.plu.edu/~cooperlk/doc/concept-analysis.doc

L’analisi del concetto (o concept analysis) può essere effettuata applicando varie tecniche (Rodgers, 1989; Hupcey, Penrod, 2005), tra cui quella di Walker e Avant (2005). Alcuni autori muovono delle critiche alla metodologia della concept analysis come base concettuale di definizione dei fenomeni di interesse. Ad esempio Morse (1995) afferma: "le concept analysis non producono una base teoretica utile” e Paley (1996) le considera un esercizio arbitrario. Secondo Hupcey e Penrod (2005) il potenziale contributo della concept analysis nello sviluppo della scienza infermieristica è stato talvolta “forzato“. Comunque, in attesa di ulteriori sviluppi, nella nostra analisi sulla resilienza sono proprio le concept analysis che hanno contribuito a definire meglio il concetto e hanno permesso di delinearne con più chiarezza i contorni.
Il costrutto della resilienza ha un duplice valore nel nursing: clinico e culturale. Il valore clinico deriva dalla possibilità di controllare uno degli aspetti psicologici e comportamentali più importanti della risposta al problema di salute. Infatti l’osservazione del fenomeno della resilienza può indicare quali siano le condizioni personali, di setting e, più in generale, assistenziali che ne favoriscono lo sviluppo. La gestione dell’evento malattia, orientata da queste indicazioni, può associare all’inevitabile danno un possibile beneficio.
Il valore culturale è insito nella trasformazione del significato della partecipazione alle cure della stessa persona assistita, del caregiver o degli operatori. Difatti, perseguire la reintegrazione resiliente trasforma l’esperienza assistenziale in una possibilità di crescita personale e professionale.

Un’analisi del concetto di resilienza nella disciplina infermieristica
Il costrutto della resilienza è di difficile definizione, sia per la diversità degli orientamenti disciplinari di chi lo ha studiato che per l’evoluzione del concetto stesso (Luthar et al., 2000; Masten, 2007). Non esiste consenso su una sola definizione operativa e, anche se il problema è contenuto dall’uso di domini simili, il costrutto è utilizzato in ambiti diversi e per definire contenuti differenti (Shaikh, Kauppi, 2010).
La resilienza è stata analizzata da diversi punti di vista (Huang Min-Feng, 2009) come:

  1. tratto della personalità – inizialmente la resilienza era associata al concetto di invulnerabilità innata (Werner, Smith, 1982), in seguito sostituito da quello di caratteristica della personalità (Stewart et al., 1997; Wagnild, Young, 1993);
  2. processo – diversi autori (Luthar et al., 2000; Masten, 2001; Richardson, 2002) concordano sulla natura dinamica del costrutto, anche se ciascuno ne sottolinea aspetti e relazioni con fattori di protezione differenti (Rutter 1985);
  3. risultato – taluni sostengono (McCubbin,2001; Olsson et al., 2003; Ahern et al., 2006) che la resilienza sia un risultato della risposta allo stress. Questa ipotesi ha suscitato critiche e trova scarsa applicazione nella ricerca. Le prime definizioni, riportate in tre dei quattro lavori considerati, sono di carattere generale e provengono da dizionari (Tabella 2).
     
Tabella 2 – Definizioni da dizionari riportate nei lavori esaminati

Definizione / fonte

Concept analysis

"la capacità di riprendersi dalla sfortuna o modificarla facilmente” Merriam – Webster Dictionary (2002)

Earvolino-Ramirez (2007); Cooper (2008)

"la capacità di riprendersi in fretta dalla malattia, dalla depressione, o modificare la sventura” American Heritage Dictionary (2005)

Earvolino-Ramirez (2007)

“atto di ritrarsi o rimbalzare indietro” (evitare l’ostacolo n.d.a.) Oxford Dictionary (1989)

Gillespie. et al. (2007)

“elasticità, la forza di riprendere l’originale forma o posizione dopo piegatura o altri shock” Oxford Dictionary (1989)

Gillespie. et al. (2007)

“la capacità di successo ‘rimbalzo’ da stress e traumi e riflette la capacità di mantenere l’equilibrio” Dizionario Barnhardt di Etimologia (1988)

Gillespie. et al. (2007)

Le definizioni estratte dalla letteratura scientifica (Tabella 3) presumono tutte la capacità di riprendersi da un’avversità (Dyer, McGuinness, 1996; Cooper, 2008).

Tabella 3 – Contenuti delle definizioni di resilienza dedotti dalla letteratura scientifica

Contenuti

Autori

contenimento del danno da stress – accettazione dell’avversità – adattamento

(Werner, Smith 1982) (Wagnild, Young 1993)

ripristino delle condizioni – mantenimento o recupero dell’omeostasi psichica

(Rutter 1985) (Curly 1998). (Felten, Hall 2001) (Humphgreys 2001) (Turner 2001)

insieme di fattori individuali e/o elementi del contesto

(Margalit 2004) (Garmezy 1993) (Polk 1997) (Walsh 2003) (Deveson 2003) (Holaday, McPhearson 1997)

processo dinamico

(Rutter 1990) (Luthar et al. 2000) (Dyer, McGuinness 1996)

competenza – modello – comportamento

(Werner 1993) (Connor, Davidson 2003) (Richardson 2002) (Dyer, McGuinness 1996)


Gli antecedenti della resilienza

Gli antecedenti, secondo Walker e Avant (2005), sono elementi o situazioni che precedono il verificarsi del concetto. Tutti gli autori sono concordi sulla necessità di un’avversità affinché la resilienza possa manifestarsi: infatti solo in presenza dell’avversità si rivelano le scelte coscienti o incoscienti di reintegrazione resiliente (Richardson et al.,1990), poiché i disagi permettono all’individuo di apprendere e verificare la capacità di resilienza (Richardson, 2002). Le avversità devono costituire un trauma fisico o psicologico (Holaday, McPhearson, 1997; Sigal, Weinfeld, 2001) e devono presupporre una possibile risposta (Deveson, 2003; Humphreys, 2001; Turner, 2001). Inoltre il soggetto deve possedere la capacità cognitiva e sociale di interpretare tali avversità (Werner, 1993; Masten, 1994) ed una visione realistica del mondo, anziché un falso ottimismo o un atteggiamento depressivo (Holaday, McPhearson, 1997; Deveson, 2003). Risulta anche che avere ricevuto nell’infanzia attenzioni e cure da un adulto è un importante antecedente (Dyer, McGuinness, 1996) che contraddistingue il concetto.

Gli attributi critici della resilienza
Gli attributi critici, sempre secondo Walker e Avant (2005), sono le proprietà fondamentali della resilienza. Questi si possono collocare in due ambiti, correlati ed interagenti: gli attributi relativi alla percezione del sé e gli attributi sociali.
Per quanto riguarda gli attributi relativi alla percezione del sé Gillespie e Chaboyer (2007), Cooper (2008) e Earvolino-Ramirez (2007) segnalano l’autoefficacia. Quest’ultima associa l’autoefficacia con l’autostima e sottolinea, anche, l’importanza del senso dell’umorismo e dell’alta aspettativa che è generata dallo scopo esistenziale e dall’attribuzione di senso alla propria vita (Earvolino-Ramirez 2007). Dyer e McGuinness (1996) sostengono l’importanza del senso di sé e Gillespie e Chaboyer (2007) e Cooper (2008) quella della percezione del sé che scompongono in fiducia nelle proprie capacità e nella possibilità di controllo sulla situazione. Sia Dyer e McGuinness (1996) che Earvolino-Ramirez (2007) interpretano la determinazione e l’autodeterminazione come perseveranza, ma i primi ne sottolineano il carattere deciso e intraprendente, mentre l’altra la collega all’autostima.
L’importanza della speranza nel costrutto di resilienza è sostenuta dalla letteratura (Werner, 1993; Holaday, McPhearson, 1997; Kashden et al 2002; Kohli, Mather, 2003). Snyder (2000) definisce la speranza: orientamento ad un obiettivo, fede di poterlo raggiungere e convinzioni, cognitive e motivazionali, che il relativo percorso può essere creato e seguito. La speranza è associata con strategie di coping adattive (Snyder, McCullough 2000; Werner 2004), oppure orientate a prevenire ed affrontare lo stress ma anche con il senso di controllo (Magaletta, Oliver, 1999; Snyder, McCullough, 2000) e di empowerment (Snyder, McCullough, 2000; Werner, 2004). Inoltre, la speranza è riconducibile alla visione positiva della vita (Cooper, 2008) e all’alta aspettativa (Earvolino-Ramirez, 2007), almeno come loro componente. La speranza è un presupposto del senso di sé (Dyer, McGuinness, 1996).
Anche il coping, come la speranza, è un attributo critico della resilienza (Gillespie, Chaboyer, 2007), per il suo valore di mediatore della risposta emotiva (Lazarus, Folkman, 1984), dunque, come predittore. Il coping è in stretto rapporto con la speranza (Gillespie, Chaboyer, 2007) o con il senso dell’umorismo (Earvolino-Ramirez, 2007).
Relativamente agli attributi sociali: Dyer e McGuinness. (1996), Earvolino-Ramirez (2007) e Cooper (2008) propongono il superamento delle avversità e il reinserimento/reintegrazione sociale, anche se con definizioni e contenuti diversi. Per Dyer e McGuinness (1996) vi è una parziale sovrapposizione con il senso di sé. Earvolino-Ramirez (2007) parla di reinserimento come della ripresa delle attività abituali e asserisce l’esistenza di un vantaggio conseguente al superamento, senza però definirlo. La ripresa dalle avversità di Cooper (2008) richiama modelli concettuali della resilienza (Werner, Smith, 1982), dove il ripristino dell’omeostasi psico-fisica ha un ruolo centrale. Anche le relazioni sociali sono riconosciute come un attributo della resilienza da Dyer e McGuinness (1996), da Earvolino-Ramirez (2007) e da Cooper (2008), che rispettivamente le definiscono atteggiamento pro-sociale, relazioni positive/assistenza sociale, relazione positiva con gli altri. Gli atteggiamenti amichevoli e cordiali avvicinano le altre persone che con la loro presenza favoriscono il processo di resilienza (Dyer, McGuinness, 1996). A questi comportamenti sono sottese la duttilità e la malleabilità (Dyer, McGuinness, 1996). Earvolino-Ramirez (2007) mette in rapporto l’esistenza e la qualità delle relazioni sociali con la possibilità di avere sostegno. Anche Cooper (2008) indica la relazione positiva con gli altri quale attributo critico. Earvolino-Ramirez (2007) sostiene che all’attributo flessibilità corrispondono comportamenti simpatici, collaborativi e tolleranti, descrivendoli come temperamento semplice. Gli attributi sociali si riferiscono a condizioni complesse determinate da più di un soggetto e risultano, pertanto, di difficile utilizzazione nella pratica della ricerca.

Le conseguenze della resilienza
In tre delle quattro concept analysis esaminate, le conseguenze della resilienza (elementi o circostanze che seguono il verificarsi del concetto) riguardano il miglioramento della personalità. In un articolo si parla di aumento della tempra (Dyer, McGuinness, 1996), mentre altri due si riferiscono ad un insieme più ampio di elementi. Ad esempio Gillespie e Chaboyer (2007) parlano di sviluppo personale conseguente ai turbamenti, mentre Cooper (2008) di crescita complessiva della personalità. Earvolino-Ramirez (2007) e Dyer e McGuinness (1996) elencano tra le conseguenze della resilienza il coping efficace. Earvolino-Ramirez (2007) e Gillespie e Chaboyer (2007) lo descrivono come la capacità di gestire le avversità mantenendo un livello di funzionalità ottimale e come l’esercizio della capacità di controllo. Il senso di controllo non è definito ma paragonato al mastery che presuppone il possesso di grandi abilità o conoscenze (Earvolino-Ramirez, 2007), oppure viene riferito ad elementi concreti (Gillespie, Chaboyer, 2007) ed inquadrato come controllo del contesto (Masten, 1994). L’adattamento positivo è una conseguenza della resilienza di natura semplicemente psicologica (Kohli, Mather,2003; Masten, 1994; Woods, Isenberg, 2001). Per Earvolino-Ramirez (2007) l’adattamento positivo corrisponde al respingimento di un evento dirompente o negativo seguito da un recupero utile ed efficace.
La reintegrazione è una delle conseguenze della resilienza e per Cooper (2008) va intesa come reintegrazione sociale, mentre Gillespie e Chaboyer (2007) la descrivono come integrazione fisica e psicologica nel contesto (Deveson, 2003; Holaday, McPhearson, 1997; Richardson, 2002).
Cooper (2008), oltre a Dyer e McGuinness (1996), afferma che una conseguenza della resilienza è la capacità, precedentemente assente, di far fronte alle difficoltà che assume il significato di senso di superamento della situazione (Dyer, McGuinness, 1996). 

I referenti empirici della resilienza
I referenti empirici sono realtà oggettive che provano l’esistenza del concetto e che permettono di valutare l’entità di una condizione connessa al costrutto (Walker, Avant 2005). Si identificano, principalmente, con gli strumenti di misurazione del concetto disponibili. Solo tre delle quattro concept analysis prendono in esame strumenti di misurazione della resilienza (Tabella 4).

Tabella 4Concept analysis e relativi strumenti di misura della resilienza esaminati

Concept analysis

Strumenti di misurazione della resilienza

Ego resilience scale (ER 89)

Block e Kremen (1996)

Resilience scale (RS)

Wagnild e Young (1993)

Connor-Davidson resilience scale (CD RISC)

Connor e Davidson (1994)

Brief Resilient coping scale (BRCS)

Sinclair e Wallston (1996)

Resiliency attitudes scale (RAS)

Biscoe e Harris (1994)

Resilience scale for adults (RSA) di Friborg 2003

Gillespie e Chaboyer 2007

X

X

X

X

X

 

Earvolino-Ramirez 2007

 

 

 

 

 

X

 

Cooper 2008

 

X

X

 

 

X

Dyer, McGuinness 1996

Gillespie e Chaboyer (2007) esaminano cinque strumenti di misurazione confrontandone l’affidabilità, i domini (sottoscale), gli item che li compongono e le modalità di assegnazione dei punteggi. Riportano per due scale i valori della validità convergente e per una la validità concorrente. L’affidabilità (α di Cronbach) è risultata migliore nella CD-RISC: Connor-Davidson resilience scale (Connor, Davison, 2003), con uno score da 0.89 a 0.93 e nella RS: Resilience scale di Wagnild e Young (Wagnild, Young, 1993), con uno score da 0.79 a 0.91. Il numero di item, che è inversamente proporzionale alla facilità e alla rapidità di somministrazione del test, parte dai 72 item della scala RAS: Resiliency attitudes scale (Biscoe, Harris, 1994) per passare ai 37 della RSA: Resilience scale for adults (Friborg, Hjemdalet al., 2003), ai 25 della RS e della CD-RISC, ai 14 della ER–89: the Ego resilience scale (Block, Kremen, 1996) e ai 9 della BRCS: Brief resilient coping scale (Sinclair, Wallston 2004).
I domini di ogni strumento riflettono teorie elaborate in base a studi in genere qualitativi, condotti su popolazioni molto caratterizzate (Tusaie, Dyer,2004), quindi poco generalizzabili. Earvolino-Ramirez (2007) esamina la scala RSA che considera anche il contesto socio-familiare, oltre all’individuo. L’autrice illustra con una tabella il parallelo tra gli attributi critici esposti nel suo articolo e i domini della scala. Anche Cooper (2008), che confronta la RSA, la CD-RISC e la RS giudica quest’ultima la migliore. Infatti, dai lavori esaminati risulta che la scala a 25 item di Wagnild e Young è lo strumento con i migliori riscontri psicometrici sperimentato su una più vasta gamma di popolazioni. Dyer e McGuinness (1996) non studiano i referenti empirici.

Il metodo dei casi
Il metodo dei casi consiste nel riportare casi nei quali il concetto si realizza pienamente, si realizza in parte (casi borderline), non si realizza affatto (casi contrari) oppure nell’esporre casi ipotetici che esemplifichino l’attuazione del concetto (Walker, Avant 2005). Il metodo dei casi è applicato in tre delle quattro concept analysis: Earvolino-Ramirez (2007), Cooper (2008), Dyer eMcGuiness (1996) propongono casi originali reali, realistici o di pura finzione, mentre Gillespie e Chaboyer (2007) non applicano il metodo dei casi.
In letteratura il metodo dei casi della concept analysis è criticato (Beckwith et al., 2008) in quanto: 1) il nesso che lega il caso al costrutto è opinabile, poiché non si può stabilire quanto dipenda dalla casualità e quanto sia riconducibile alla causalità. In altre parole, gli innumerevoli fattori comportamentali e di contesto sono difficilmente separabili gli uni dagli altri e questo è particolarmente rilevante nell’infermieristica, dove è spesso impossibile enucleare una variabile per poterla studiare indipendentemente dalle altre; 2) l’osservazione dei casi non porta a conclusioni oggettive circa la presenza del costrutto, perché ogni caso viene inevitabilmente interpretato dall’osservatore. Queste critiche sono ancora più fondate quando i casi non sono reali (Beckwith et al, 2008). In base a queste osservazioni, le indicazioni deducibili dal metodo dei casi hanno avuto, ai fini di questo lavoro, un’importanza relativa. 

Conclusioni
L’applicazione della concept analysis alla resilienza è condizionata dalla natura astratta del concetto e dall’elevato numero delle sue proprietà che contraggono, tra loro, rapporti ambivalenti. Il metodo di analisi, quindi, fornisce risultati non conclusivi, da interpretare con cautela, ma comunque utili per orientare la scelta delle variabili operative e dei relativi strumenti di misura. Pertanto, le indicazioni delle concept analysis riguardano ampie aree di interesse, nelle quali si devono cercare elementi oggettivi e misurabili riferiti alla specifica popolazione che si vuole esaminare e al tipo di avversità che innesca il processo resiliente.
In estrema sintesi e semplificando quanto precedentemente esposto, la resilienza:

  1. è una risposta ad un trauma fisico o psicologico che un individuo include nella propria esperienza;
  2. è caratterizzata da speranza, senso del sé, autodeterminazione, flessibilità, autostima, autoefficacia, relazioni positive, presenza di una rete sociale;
  3. determina: uno sviluppo della personalità che comprende l’incremento della capacità di adattamento, di superamento delle difficoltà, anche attuando strategie di coping efficace e di reintegrazione psico-fisica e sociale nel contesto.

Earvolino-Ramirez (2007) evidenzia che vi sono diversi pareri circa le modalità con cui si manifestano le conseguenze della resilienza. Tolan (1996) sostiene che, affinché si possa riscontrare la resilienza, è necessario che le sue conseguenze si manifestino contemporaneamente a livelli elevati, mentre Luthar (1991) sostiene che è sufficiente che si riscontri una prestazione elevata in un dominio e nella media negli altri.

Possibili sviluppi del concetto nella pratica
Son molteplici le ricadute delle conoscenze inerenti un concetto come la resilienza, dalle profonde implicazioni assistenziali, e applicabile a tutti gli attori dei setting sanitari.
Sinteticamente si possono ricondurre a tre ambiti:

  • clinico-organizzativo: studi sulle condizioni e sulle dinamiche del setting assistenziale nel processo di reintegrazione resiliente;
  • etico: studi sul valore personale e professionale del processo di resilienza per l’infermiere;
  • formativo: studi sull’applicazione del concetto e del processo di resilienza nella formazione infermieristica.

La ricerca futura si dovrebbe orientare ad una più approfondita teorizzazione del costrutto e successivamente alla conoscenza del ruolo che riveste nel processo assistenziale e delle qualità che attori e setting debbono possedere per promuoverla.

 


[1] http://dizionari.zanichelli.it/parola-del-giorno/2006/06/13/.
[2] http://www.fchs.ac.ae/fchs/uploads/Files/Semester%201%20-%202011-2012/NANDA%20group%20list.pdf.
 

STAMPA L'ARTICOLO

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