Gli effetti degli organici infermieristici sugli esiti clinici dei pazienti


Proseguendo l’analisi di studi che riguardano le ricadute della composizione degli organici infermieristici sugli esiti dei pazienti (gli articoli precedenti sono stati pubblicati sui numeri 2 e 3 del 2011 di questa rivista), commentiamo una revisione Cochrane sull’argomento, intitolata “Modelli di organico infermieristico ospedaliero e outcome per i pazienti e per lo staff” (Butler et al., 2011).
Gli Autori provengono dalle Università di Dublino e di Adelaide e dal Centro Cochrane di Ottawa.
Questo lavoro ha due caratteristiche molto interessanti: nella revisione sono stati inclusi solo gli articoli che possiedono il massimo grado di evidenza scientifica, come sempre in tutte le pubblicazioni Cochrane[1]. Vi è da dire, infatti, che la letteratura sull’argomento è sempre più vasta: abbondano gli studi osservazionali e i questionari sulle opinioni degli infermieri; non sono molto numerosi, al contrario, gli studi clinici controllati o quelli randomizzati, che sono invece quelli passati in rassegna in questo caso.
Un altro aspetto positivo di questo lavoro è che il gruppo degli autori non ha usato criteri restrittivi sui contenuti degli studi inclusi: emergono così degli aspetti molto innovativi, sia per la letteratura internazionale, sia per il nostro paese, come per esempio l’“ostetricia in team” (team midwifery) o l’autogestione degli organici (self-staffing), due interventi che sembrano poter avere, almeno a prima vista, delle importanti ricadute, rispettivamente, sui pazienti e sul personale del servizio.
Sembra interessante citare anche la premessa del lavoro, perché in essa si accenna a due tendenze in atto a livello mondiale, che stanno provocando delle profonde modificazioni nelle caratteristiche dei sistemi sanitari: da un lato l’aumento della complessità della domanda di assistenza sanitaria (Buerhaus, 2000, Lang, 2004), dall’altro la diminuzione del numero degli infermieri qualificati (Buchan, 2005, Buchan, 2009, Potempa, 2009, Preston, 2009). Gli autori riferiscono che molti paesi si stanno organizzando rivedendo la composizione degli organici: gli interventi di modifica riguardano, per esempio, la riorganizzazione del mix delle figure assistenziali con diversi livelli di qualifica (com’è già accaduto nel nostro Paese con l’introduzione dell’Oss), la revisione del mix degli infermieri con differenti livelli di preparazione e di esperienza, il ricorso a prestazioni integrative erogate da personale interno o esterno, per finire con la revisione dell’articolazione dei turni. L’International council of nurses sostiene che “una sfida frequente che devono affrontare i gestori delle risorse umane è quella di determinare quale sia il mix più efficace di personale e di abilità necessario a erogare un’assistenza sanitaria di qualità e sostenibile economicamente, che faccia fronte all’incremento della domanda di servizi sanitari, alla necessità di contenere i costi e alla diminuzione del numero degli infermieri e delle altre figure sanitarie” (Icn, 2006).
La revisione in oggetto si è posta l’obiettivo di identificare quali modelli di organico assistenziale siano associati con i migliori outcome per i pazienti e per gli organici in ambito ospedaliero. Il metodo seguito è stato quello della ricerca bibliografica. Il criterio di inclusione degli studi è stato quello di selezionare studi clinici randomizzati (Randomized clinical trials, Rct), studi clinici controllati (Controlled clinical trials, Cct), studi controllati prima e dopo (Controlled before and after study, Cba) e, infine, serie temporali interrotte (Interrupted time series, Its). Questi tipi di studi soddisfano i requisiti Epoc (Effective practice and organization of care review group[2]). Le misure obiettive per la valutazione degli outcome sui pazienti sono state (anche queste secondo i criteri Epoc): la mortalità, la mortalità corretta per il rischio, la mortalità intraospedaliera, la durata della degenza. Le misure obiettive per il personale sono state: i tassi di abbandono del turno per malattia e i tassi di turnover. I risultati sensibili all’assistenza infermieristica considerati nello studio sono stati: le infezioni, le cadute, le lesioni da pressione, le complicanze e gli errori nella somministrazione della terapia.
Nell’elenco che segue sono presentati gli elementi considerati nella revisione. Questi sono denominati, per gli organici, staffing model e staffing level; invece, per gli infermieri sono stati considerati skill mix, grade mix e qualification mix:

  • gli staffing model si riferiscono alle modalità per identificare e allocare il personale, per realizzare gli schemi di turno, per l’utilizzo dello straordinario e per il ricorso a personale esterno;
  • gli staffing level includono i rapporti infermiere/paziente, le ore di assistenza infermieristica erogate (in toto) e le ore erogate dagli infermieri;
  • lo skill mix fa riferimento al numero di infermieri sul totale del personale, alle ore di assistenza erogate da infermieri, alla percentuale di presenza di infermieri rispetto al totale dell’organico assistenziale e alla percentuale di presenza di advance nurse practitioner[3] sul totale;
  • il grade mix fa riferimento alle posizioni gerarchiche ricoperte dagli infermieri;
  • il qualification mix fa riferimento alla percentuale di presenza di infermieri con qualificazione postlaurea o postdiploma rispetto al totale degli infermieri presenti.

 
Gli Autori hanno compiuto una ricerca imponente per cercare di considerare tutti gli studi che si sono occupati di correlare gli organici ospedalieri agli outcome dei pazienti. Ne sono stati individuati 6.202, dei quali solo 15 (si veda il box 1) hanno soddisfatto i criteri di inclusione nella revisione.

Box 1: Studi inclusi nella revisione

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Boumans N P, Landeweerd J A. Nurses’ well-being in a primary nursing care setting in The Netherlands. Scand J Caring Sci 1999;13(2):116–22. [MEDLINE: 10633742]

Davies M, Dixon S, Currie C J, Davis R E, Peters J R. Evaluation of a hospital diabetes specialist nursing service: a randomized controlled trial. Diabet Med 2001;18(4): 301–7. [MEDLINE: 11437861]

Dawes H A, Docherty T, Traynor I, Gilmore D H, Jardine A G, Knill-Jones R. Specialist nurse supported discharge in gynaecology: a randomised comparison and economic evaluation. Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol 2007 (Epub 2006 Mar 10);130(2):262–70. [MEDLINE: 16530916]

Duncan D G, Beck S J, Hood K, Johansen A. Using dietetic assistants to improve the outcome of hip fracture: a randomised controlled trial of nutritional support in an acute trauma ward. Age Ageing 2006 (Epub 2005 Dec 14); 35(2):148–53. [MEDLINE: 16354710]

Einstadter D, Cebul R D, Franta P R. Effect of a nurse case manager on postdischarge follow-up. J Gen Intern Med 1996;11(11):684–8. [MEDLINE: 9120655]

Feddersen E. An inpatient Diabetes Educator’s impact on length of hospital stay. The Diabetes Educator 1994;20(2): 125–8. [MEDLINE: 7851225]

Forbes A, While A, Mathes L, Griffiths P. Evaluation of a Ms specialist nurse programme. Int J Nurs Stud 2006;43 (8):985–1000. [MEDLINE: 16412443]

Forster A, Clark H, Menard A, Dupuis N, Chernish R, Chandok N et al. Effect of a nurse team co-ordinator on outcomes for hospitalized medicine patients. The American Journal of Medicine 2005;118:1148–53. [MEDLINE: 16194647]

Melchoir M E H, Philipsen H, Abu-Saad H H, Halfens R J G, van de Berg A A, Gassman P. The effectiveness of primary nursing on burnout among psychiatric nurses in long-stay settings. J Adv Nurs 1996;24:694–702. [MEDLINE: 8894886]

Neidlinger S H, Bostrum J, Stricker A, Hild J, Qing Zhang J. Incorporating nursing assistive personnel into a nursing professional practice model. Jona 1993;23(3):29–37. [MEDLINE: 8473926]

O’Connor M A. A behavioral intervention’s influence on nurse turnover rate. PhD Thesis, Department of Human development and family life, University of Kansas. Kansas: Department of Human health and family life, University of Kansas, 1992.

Pozen M W, Stechmiller J A, Harris W, Smith S, Fried D D, Voigt C G. A nurse rehabilitator’s impact on patients with myocardial infarction. Med Care 1977;15(10):830–7. [MEDLINE: 909325]

Ritz L J, Nissen M J, Swenson K K, Farrell J B, Sperduto P W, Sladek M L et al. Effects of advanced nursing care on quality of life and cost outcomes of women diagnosed with breast cancer. Oncol Nurs Forum 2000;27(6):923–32. [MEDLINE: 10920832]

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Di questi, quattro riguardano interventi sugli organici quali il primary nursing, l’autopianificazione e l’“ostetricia in team”. Altri 11 studi riguardano lo skill-mix e, in particolare, l’inserimento di infermieri specialisti nell’organico (9 studi) e l’aumento della proporzione del personale di supporto rispetto a quello infermieristico (2 studi). Dei 15 studi inclusi, 8 sono Rct (Biro 2000, Davies 2001, Dawes 2007, Duncan 2006, Forster 2005, Pozen 1977, Ritz 2000, Talley 1990), 2 Cct (Einstadter 1996, Feddersen 1994) e 5 Cba (Boumans 1999, Forbes 2006, Melchoir 1996, Neidlinger 1993, O’Connor 1992).
Gli Autori hanno rintracciato nove studi che trattano dell’inserimento nell’organico infermieristico degli infermieri specialisti (con una formazione paragonabile a quella dei nostri master clinici, nel testo si citano ad esempio gli infermieri specialisti per i pazienti affetti da diabete, sclerosi multipla, infarto del miocardio o da problemi di salute mentale) (Davies 2001, Dawes 2007, Einstadter 1996, Feddersen 1994, Forbes 2006, Forster 2005, Pozen 1977, Ritz 2000, Talley 1990). L’infermiere specialista coordina l’assistenza programmando gli esami diagnostici e le procedure, accogliendo i pazienti, pianificando la loro assistenza e verificandone l’evoluzione, prescrivendo o mettendo in atto gli interventi specifici per i problemi individuati con l’accertamento e mettendo in atto interventi formativi per i pazienti, gli altri infermieri e il resto del personale. Si pensava che con l’introduzione di infermieri specialisti si riducessero il tasso di mortalità, i tassi di riospedalizzazione e gli accessi ripetuti al Pronto soccorso. Su questi aspetti non si sono trovate delle evidenze; tuttavia, inserire degli infermieri specialisti produce invece risultati misurabili in termini di riduzione della durata della degenza e di riduzione della comparsa di lesioni da pressione.
Un altro aspetto che è stato affrontato è quello dell’aumento del rapporto fra personale di supporto e infermieri. Su questo argomento sono stati trovati due studi: Duncan 2006 (Rct) e Neidlinger 1993 (Cba). Anche su questo aspetto non sono state trovate delle evidenze, tuttavia ci sono evidenze che staff di supporto specialistici, che prevedono per esempio la presenza di dietiste, può avere un importante impatto sugli outcome dei pazienti. Nello studio di Duncan 2006 l’apporto delle dietiste riduceva del 6% la mortalità in una traumatologia (p=0.048). Sempre in questo studio si dimostravano anche una diminuzione della mortalità in tutto l’ospedale (p=0.09) e una diminuzione della mortalità a quattro mesi dalla dimissione (p=0.03).
Un sistema di autogestione dell’organico[4] (self-staffing) è presentato in uno studio (O’Connor 1992, Cba) che dimostra una sensibile riduzione nel turnover del personale, mentre due ricerche hanno studiato l’applicazione del primary nursing[5] (Boumans 1999, Cba, Melchoir 1996, Cba), dimostrando, anche in questo caso, una notevole riduzione del turnover.
Una ricerca (Biro 2000, Rct) ha dimostrato l’effetto positivo dell’introduzione dell’“ostetricia in team” (team midwifery), che può ridurre il numero delle procedure mediche durante il travaglio e può contribuire a una riduzione della durata della degenza senza compromissione della sicurezza della mamma e del bambino. L’“ostetricia in team” è definita da Biro come “un nuovo modello di assistenza alla maternità caratterizzato dalla continuità dell’assistenza ostetrica dall’inizio della gravidanza al periodo postnatale”. Con questo modello si cerca di organizzare la presenza di una stessa ostetrica che pianifica l’assistenza alla donna dall’inizio della gravidanza alla fine del periodo postnatale.
In conclusione, in questa revisione si dimostra che:

  • l’inserimento nell’organico di infermieri specialisti riduce la durata della degenza e il numero delle lesioni da pressione;
  • l’inserimento di altri professionisti diversi dagli infermieri, come per esempio delle dietiste, può avere un impatto considerevole su alcune categorie di pazienti;
  • l’autogestione degli organici e il primary nursing possono ridurre il turnover del personale;
  • l’“ostetricia in team” può ridurre il numero delle procedure mediche durante il travaglio e può diminuire la durata della degenza, senza compromettere la sicurezza della mamma e del bambino.

Secondo gli Autori, questo lavoro mette in evidenza i limiti della ricerca condotta sull’argomento delle ricadute delle caratteristiche degli organici infermieristici sugli esiti delle attività sanitarie. Più nello specifico, essa sottolinea il gran numero di studi condotti ma che non hanno un disegno appropriato a tal punto da essere considerati come una fonte di evidenze sul’argomento. Gli Autori fanno notare, infine, la necessità di ulteriori studi sulle caratteristiche della formazione, delle posizioni gerarchiche ricoperte e dei rapporti di organico fra infermieri e il resto del personale assistenziale. Si auspica infine anche una maggior collaborazione internazionale nell’esecuzione di ricerche in questo ambito.
Ci permettiamo di aggiungere che la lettura di questa revisione fornisce anche delle informazioni non secondarie sullo stato della nostra professione all’estero: per esempio, nel lavoro si legge che le ore lavorative settimanali medie per gli infermieri in Canada, in Australia e in Irlanda sono 37,5; che in California (dal 2004) e nello stato di Vittoria in Australia è stata introdotta l’obbligatorietà di rapporti numerici minimi infermieri/pazienti[6].
Auspichiamo che anche nel nostro Paese si conducano degli studi rigorosi sugli argomenti dell’organizzazione del lavoro degli infermieri. A questo proposito segnaliamo il primo studio europeo sull’evoluzione della professione infermieristica, il RN4cast[7], che cerca di fornire dati provenienti da 12 paesi europei (Italia esclusa) su come l’organico infermieristico ospedaliero, lo skill mix, i livelli formativi e la qualità dell’ambiente di lavoro degli infermieri impattino sulla mortalità, sui salvataggi mancati[8], sulla qualità dell’assistenza e sulla soddisfazione dei pazienti.
 


[1] La Cochrane Collaboration è un’organizzazione internazionale (con sede anche in Italia) che ha lo scopo di fornire informazioni aggiornate sugli effetti delle cure sanitarie, cercando di sviluppare il più possibile le conoscenze basate sulle prove di efficacia disponibili. La Cochrane Collaboration pubblica regolarmente delle revisioni, come questa, che sono raccolte nella Cochrane Library. Per accedere al sito italiano cliccare su: http://www.cochrane.it/it/benvenuto, (ultimo accesso il 29/04/2012).
[
2] L’Effective practice and organization of care review group è un gruppo interno alla Cochrane Collaboration, che ha lo scopo di realizzare interventi per migliorare l’erogazione e l’organizzazione dei sistemi sanitari. Per ulteriori approfondimenti si veda http://epoc.cochrane.org/welcome-epoc-ottawa-website, (ultimo accesso il 29/04/2012). Per l’Epoc gli Rct, i Cct e i Cba devono essere costruiti con almeno due gruppi di controllo e due gruppi di intervento, le Its devono avere almeno tre punti di dati prima e dopo l’intervento.
[
3] L’Advance nurse practioner (Anp) è una figura infermieristica con competenze avanzate e livello formativo superiore a quello degli infermieri laureati “generalisti”. Può effettuare in autonomia attività diagnostiche e prescrivere farmaci, per esempio, in condizioni di cronicità, di malattia mentale e di assistenza alla gravidanza e al puerperio, sia in ambito ospedaliero sia in ambito territoriale. Le attività della nostra figura ostetrica sono molto spesso comprese fra quelle di un Anp. Si veda, per ulteriori dettagli: http://en.wikipedia.org/wiki/Nurse_practitioner (ultimo accesso 29/04/2012).
[
4] Negli Ospedali degli Stati Uniti gli organici assistenziali sono di solito gestiti centralmente a livello di ospedale e non di unità operativa. Il livello centrale modula gli organici dei servizi in relazione alle necessità assistenziali, attingendo anche alle risorse di organici trasversali (floating staff o organici fluttuanti, composti da operatori in grado di lavorare in unità operative diverse). Nello studio in esame si sono dimostrati effetti di riduzione del turnover nei servizi dove invece gli organici sono gestiti a livello di unità operativa, quindi senza ricorrere a integrazioni provenienti da altri servizi e senza dover supplire alle necessità di altri servizi.
[
5] Primary nursing (o assistenza primaria): si tratta di un approccio organizzativo sviluppato da Marie Manthey negli anni ’60 all’University of Minnesota Hospital (Usa). Gli elementi costitutivi del Primary nursing sono: 1. l’assegnazione dell’assistenza quotidiana secondo il metodo dei casi; 2. l’attribuzione e l’accettazione da parte di ciascun professionista della responsabilità di assumere decisioni; 3. la presenza di una persona operativamente responsabile dell’assistenza erogata ai pazienti di un servizio 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana. In sintesi, secondo questo modello un infermiere si occupa di un ridotto numero di pazienti, per i quali funge da infermiere referente. Come tale, ha la responsabilità e l’autorità di identificarne i bisogni e i problemi e di pianificare e valutare gli interventi relativi dall’inizio al termine della degenza. La responsabilità di infermiere primario, di solito, è assegnata per brevi periodi (una-due settimane) (Bowers, 1989, Calamandrei C., Orlandi C., 2009).
[
6] A questo proposito si veda http://www.nursingcenter.com/library/JournalArticle.asp?Article_ID=775953 (ultimo accesso il 23/10/2012) e anche http://nursingworld.org/MainMenuCategories/ANAMarketplace/ANAPeriodicals/OJIN/TableofContents/Volume122007/No3Sept07/MandatoryNursetoPatientRatios.html (ultimo accesso il 23/10/2012).
[
7] Il sito ufficiale dello studio: http://www.rn4cast.eu/en/index.php (ultimo accesso il 23/10/2012).
[
8] Salvataggio mancato (Failure to rescue):è un indicatore messo a punto dalla Ahrq (Agency for healthcare research and quality) e adottato anche nel nostro paese, per studi sulla qualità e sicurezza della assistenza sanitaria; dà una misura di come le organizzazioni sanitarie rispondono ad alcuni eventi che accadono ai pazienti durante la degenza, quali polmoniti, shock, arresti cardiaci, emorragie gastroenteriche, sepsi e trombosi venose profonde. Lo scopo è di individuare i pazienti per i quali vi è un ritardo nella diagnosi o nella terapia per una delle complicanze elencate, per le quali una maggior efficacia delle prestazioni sanitarie e la tempestività d'azione potrebbe ridurre il rischio di morte (Fonte: Ministero della Salute: http://www.ministerosalute.it/qualita/paginaInternaQualita.jsp?id=267&menu=sicurezza, ultimo accesso il 23/10/2012).

 
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