Le narrazioni di malattia come strumento infermieristico per interpretare la percezione e la soggettività del bisogno


Le narrazioni di malattia (Narrative based medicine) da tempo rappresentano la dimensione qualitativa e valoriale che integra quella della Ebm (Evidence based medicine). La centralità del racconto nella rappresentazione del proprio stato di salute, del proprio percorso di vita, o meglio di malattia, ha iniziato a farsi strada a partire dai primi studi condotti da Rita Charon (2001) della Columbia University, fino all'antropologia medica di Byron Good (1999). Sul tema non si possono trascurare gli scritti di Ivan Illich (2005) e la stessa denuncia sollevata da Susan Sontag (1992) che afferma: “La malattia non è una metafora, ma la maniera più corretta di considerarla – e la maniera più sana di essere malati – è quella più libera e aliena da pensieri metaforici”.

Quelle citate sono solo alcune delle opere che conducono ad una revisione antropologica e sociologica dello stesso concetto di salute, che fino alla seconda metà del XX secolo aveva dominato il panorama sanitario, con la esorbitanza delle dimensioni gerarchica, direttiva e lineare. In questo scenario non si prendeva in considerazione la tridimensionalità (fisica, psicologica e sociale) della salute, la globalità e l'unitarietà della persona umana cui essa faceva riferimento. Sano o malato, vivo o morto erano le visioni medico-lineari dominanti, che non potevano essere funzionali ad un approccio olistico alla malattia, ad un'assistenza patient centered. Ed è proprio nello sviluppare questa visione della centralità della relazione di cura, del rapporto che si viene ad instaurare, in particolare fra assistito ed assistente, paziente ed infermiere, che iniziano a farsi strada i lavori infermieristici di due studiose statunitensi: Josephine Paterson e Loretta Zderad. Le due autrici prendono in considerazione il vissuto esperienziale che scaturisce dalla condivisione di una stessa dimensione spaziale e temporale proprio da parte del paziente e dell'infermiere, e considerano l'infermieristica come "an experience lived between human beings", come pure "science may provide the nurse with knowledge on which to base her (his) decision, but it remains for the arts and humanities to direct the nurse toward examination of value underlying her practice" (Paterson, Zderad, 1976). Una prospettiva che riprende le teorie assistenziali della transculturalità di Madeleine Leininger (2002) e della globalità della persona di Martha Rogers e che sottolinea l'irrinunciabile multidimensionalità della costruzione del processo di aiuto, dove le rappresentazioni, le percezioni e i vissuti di malattia dei soggetti interessati, e dei relativi ‘altri significativi’ (i caregiver in particolare), diventano elementi imprescindibili di conoscenza e analisi per la costruzione e la valutazione degli interventi da parte dell'infermiere.
L'uso delle narrazioni comincia a diffondersi in maniera strutturata all'interno della medicina e lentamente si fa strada nella stessa disciplina infermieristica, in modo tale da poter assumere la definizione di Nbn (Narrative based nursing). In Italia la Nbn si è evoluta negli ultimi dieci anni, in particolare nel campo della ricerca qualitativa, nella valutazione della dimensione emica della malattia da parte del paziente. La prospettiva narrativa diventa strumento dell'infermieristica, introducendo nell'universo disciplinare e pratico con ancora maggiore forza la dimensione illness della salute, oltre quella classica relativa al guasto bio-meccanico propria del disease o quella socio-istituzionale della sickness. In tal modo riesce a definirsi come strumento non solo di ricerca ed elaborazione teorica, ma anche e soprattutto come strumento per la valutazione e la ridefinizione stessa dell'infermieristica. Un'ottica lungo la quale è stato condotto il presente lavoro con l'obiettivo di valutare l'intervento infermieristico attraverso le storie di vita e di malattia.

Esperienze di Narrative based nursing in Italia
Al fine di applicare l’Nbn, si sono condotte due distinte ricerche, che hanno utilizzato lo strumento delle narrazioni di malattia: uno studio di caso in tema di malattie rare e una survey sui processi di continuità delle cure nelle gravi cerebrolesioni acquisite (Gca).
Nel primo caso si è preso in esame un nucleo familiare composto da 3 persone (i due genitori ed il figlio), il cui bambino è affetto dalla nascita da una grave malattia invalidante che è presente in forma inedita anche in uno dei due genitori. La narrazione, orientata alla conoscenza ed alla ricostruzione della trama narrativa della malattia, si è estrinsecata in tre distinte fasi. La prima ha portato alla scelta, attraverso la conoscenza diretta, del nucleo familiare da intervistare. La fase successiva è stata caratterizzata dalla ricerca bibliografica inerente alla malattia del bambino, per costruire il quadro clinico di riferimento della complessità assistenziale. Nell'ultima fase i due genitori hanno raccontato la loro storia, registrata attraverso un'intervista narrativa, grazie alla quale si sono ottenuti dati qualitativi in relazione alla dimensione percettiva del vissuto di malattia da parte del nucleo familiare.
L'altro report di riferimento del presente lavoro è quello derivato da una ricerca condotta in una regione italiana su un campione di pazienti colpiti da Gca.
Entrambi i lavori sono stati realizzati negli ultimi quattro anni e nello stesso contesto socioculturale di riferimento. I risultati sono stati letti quali indicatori qualitativi della percezione dell'assistenza infermieristica erogata e dalla continuità delle cure sul territorio.
In entrambe le ricerche si è riscontrato un quadro di cronicità sostenuto con difficoltà per i pazienti e le rispettive famiglie (esclusi ovviamente i quadri clinici di recupero funzionale parziale e/o totale), in particolare sul piano sociale e relazionale (progressivo senso d'isolamento e di abbandono). Il fluire delle narrazioni ha rivelato momenti di criticità, punti di rottura assistenziale in cui è venuta a mancare la continuità delle cure, rilevando in alcuni casi un'assenza di protocolli strutturati di intervento e di un vero e proprio organico lavoro progettuale a lungo termine da parte delle varie équipe multidisciplinari. Rilevante è stata la punteggiatura dei racconti attraverso la presenza di stereotipi, pregiudizi o, al contrario, mitizzazioni di sorta stigmatizzanti singole relazioni e comportamenti del personale infermieristico.
Quello che si è presentato non è un quadro correlato necessariamente a comportamenti negativi ascrivibili all’infermiere. Tutt'altro. In molte situazioni, in particolare nei resoconti dei pazienti colpiti da Gca, si sono registrati atteggiamenti, relazioni e interventi professionali utili e funzionali ai bisogni delle famiglie. Molto spesso questi erano legati alle istruzioni date al familiare, al momento della dimissione, su come assistere il paziente, monitorare la funzionalità del catetere vescicale a permanenza o le precauzioni da seguire nell'aiutarlo nell'assunzione di cibo o medicinali. Un dato che non può essere letto in modo negativo sul piano relazionale e professionale per la professione, ma che indubbiamente suggerisce una carenza a livello di sistema, dove all'ultimo minuto si deve provvedere ad istruire il caregiver all'assistenza familiare. È un segno che rivela la mancanza di programmi strutturati di addestramento, istruzione e educazione terapeutica, sovrastati molto spesso dal fai da te improvvisato che, in qualche caso, può creare importanti complicazioni, in molti altri crea comunque uno stato di permanente di angoscia da parte del paziente e del familiare, che peggiora ulteriormente il quadro assistenziale di fondo.
In determinate situazioni si sono rilevati elementi negativi di sistema palesi: all'affermazione del familiare che elogiava l'assistenza erogata a livello domiciliare dall'infermiere della Asl, non risultava sul versante conoscitivo la comprensione di acronimi quali Adi, Umea e così via, rivelando una presenza del sistema e del servizio frammentaria e occasionale. Un dato alquanto discutibile, ma che comunque mette in evidenza aree grigie assistenziali sul territorio, non ben definite, dove prevale il volontarismo e la bontà dei professionisti, più che la pianificazione e la competenza. Le narrazioni relative alle Gca forniscono un quadro delle criticità in cui la professione infermieristica si viene a trovare ogni giorno, situazioni di incertezza se non di conflittualità vera e propria: dimensione individuale vs. lavoro multidisciplinare, necessità di una lettura globale del bisogno vs. rotture della continuità dei percorsi assistenziali e terapeutici.
Nell'una come nell'altra ricerca non sono mancati momenti che hanno registrato conflittualità all'interno del sistema, sfiducia, rinuncia, ma il sentore globale è quello già citato di un livello di assunzione del peso assistenziale in cui le famiglie principalmente rimangono da sole nei confronti della malattia, della disabilità.
In diverse interviste è stato denunciato, da parte di pazienti o familiari, come le informazioni necessarie per poter ottenere un presidio medico o un sussidio (es. il cosiddetto assegno di accompagnamento previsto per la legge 104/92) non siano state fornite né dal medico né dall'assistente sociale o dall'infermiere, ma da quella rete informale che è l'associazionismo dei familiari e dei pazienti, che si forma molto spesso nelle sale di attesa di ambulatori e servizi diagnostici, nei quali ci si scambia esperienze, paure, dubbi, speranze. La trama delle narrazioni alla fine ricostruita dona un panorama assistenziale ricco di fragilità ed eroismi, di solitudini e di rabbia, punteggiati di quando in quando da qualche elemento di iniquità socio-economica, specie nei casi in cui le prestazioni ambulatoriali (es. fisioterapie) sono garantite non dall'accesso ai servizi ma dalle dinamiche di mercato. L'umore degli attori del sistema, attraverso il fluire delle parole, restituisce tutte le criticità su cui intervenire e le risorse, poche, da cui ripartire.

Conclusioni
I dati emersi hanno evidenziato i limiti dei servizi nel diagnosticare prima e seguire poi i pazienti colpiti da una patologia rara, sul piano sanitario, socio-economico e relazionale. Fatto compensato dal sostegno fornito sia dai singoli professionisti, sia dalle reti sociali, mettendo in rilievo come congressi di associazioni di malati, blog, siti web, incontri informali diventano risorse spazio-temporali di circolazione e scambio di informazioni importanti. La complessità assistenziale correlata alle malattie rare sottolinea la necessità di sviluppare una capacità di lettura del bisogno, specie da parte infermieristica, che va oltre lo stesso paziente pediatrico. Se questi è il principale soggetto delle cure, anche i genitori devono essere al centro dell'attenzione, come potenziali malati in caso di patologie congenite e quali necessarie risorse di sistema da mobilitare, ma da preservare e potenziare innanzitutto.
Le testimonianze ci dicono le potenzialità del servizio, i luoghi professionali da ricoprire e al tempo stesso la dimensione valoriale della professione. Non si vuole considerare l'infermiere in termini stereotipati, né santo né farabutto, ma quale professionista portatore di conoscenze, competenze ma anche sensibilità e valori che debbono essere riconosciuti al pari di quelli che compongono le rappresentazioni di malattia. In questa prospettiva, che può dirsi paritetica, la possibilità di approccio, relazione, presa in carico e costruzione di un rapporto terapeutico di fiducia diventa uno strumento centrale nell'assistenza, della prospettiva contemporanea e avanzata dell'assistenza patient centered. Insomma, attraverso le narrazioni di malattia si esprime un "raccontami la tua storia, non solo per farti aiutare, ma per capire di più anche chi sono e chi posso essere io, l'infermiere".
 

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Bibliografia

– Charon R (2001), Narrative Medicine: A Model for Empathy, Reflection, Profession, and Trust. JAMA, 286.
– Good B J. Narrare la malattia, Lo sguardo antropologico sul rapporto medico-paziente. Edizioni di Comunità, Torino, 1999.
– Illich I. Nemesi medica, L'espropriazione della salute. Boroli, Milano, 2005.
– Leininger M, McFarland (2002). Transcultural Nursing. McGraw-Hill, Medical pub.
– Paterson J G, Zderad L T (1976). Humanistic nursing. New York: John Wiley and Sons, pag. 3 et pag. 87.
– Rogers M E. An Introduction to the Theoretical Basic of Nursing. F A Davis Company, Philadelphia 1970.
– Sontag S. Malattia come metafora. Aids e cancro. Einaudi, Torino, 1992, pag. 77.