Come afferma Nelson Mandela, il ventesimo secolo sarà ricordato come contraddistinto dalla violenza (2002). La violenza è oggi una delle prime cause di morte e disabilità permanente nel mondo, quindi un problema di salute pubblica globale, come emerge dal rapporto Oms del 2002. Per parlare di violenza domestica contro le donne, uno dei maggiori problemi di salute di questa parte della popolazione, non basta ricorrere alla violenza in senso lato, ovvero “l’utilizzo intenzionale della forza fisica o del potere, minacciato o reale, contro se stessi, un’altra persona, o contro un gruppo o una comunità, che determini o che abbia un elevato grado di probabilità di determinare lesioni, morte, danno psicologico, cattivo sviluppo o privazione” [1]. Neppure può bastare riferirsi alla violenza di genere, intesa come “qualsiasi atto di violenza di genere che comporta, o è probabile che comporti, una sofferenza fisica, sessuale o psicologica o una qualsiasi forma di sofferenza alla donna, comprese le minacce di tali violenze, forme di coercizione o forme arbitrarie di privazione della libertà personale sia che si verifichino nel contesto della vita privata che di quella pubblica”[2]. Piuttosto si deve fare riferimento al fenomeno specifico, cioè a “ogni forma di violenza fisica, psicologica, sessuale che riguarda tanto soggetti che hanno avuto, o si propongono di avere, una relazione intima di coppia quanto soggetti che all’interno di un nucleo famigliare più o meno allargato hanno relazioni di carattere parentale o affettivo”[3]).
Dichiarare nero su bianco l’esistenza di un fenomeno che colpisce l’umanità tutta non è un punto d’arrivo, bensì un punto di partenza degno della nostra attenzione. È ampio il patrimonio di conoscenze a disposizione su aggressività e violenza, come si può evincere sin dalla Dichiarazione universale dei diritti umani (Onu, 1948); molte discipline se ne sono occupate, arrivando a definirne molte dimensioni. Sfrondare la violenza dai giudizi morali imposti dalle congiunture storiche che si sono avvicendate può presentare qualche difficoltà, ma supporta la costruzione di un patrimonio professionale indispensabile, che va al di là della mera dimensione tecnico-scientifica, superando i preconcetti e garantendo una professionalità a tutto tondo.
Le dimensioni del fenomeno nel mondo
Nel 2006 l'Oms ha pubblicato i dati dello studio multicentrico sulla salute della donna e la violenza domestica. Nei dieci paesi selezionati sono state intervistate 24.000 donne, residenti in aree urbane e non, ricavandone dati relativi alla violenza fisica, sessuale e psicologica e ai comportamenti violenti da parte del partner passato o attuale. È stato così possibile:
- stimare la prevalenza della violenza contro le donne, in particolare la violenza fisica, sessuale e psicologica inflitta all'interno della coppia;
- valutare il legame esistente tra la violenza all'interno della coppia e una serie di sintomi ed eventi associati alla salute;
- definire i fattori che possono proteggere la donna o esporla ad una situazione di rischio di violenza all'interno della coppia;
- documentare e comparare le strategie ed i servizi usati dalle donne per affrontare la violenza inflitta all'interno della coppia.
Di rilievo sono i dati relativi alle ripercussioni della violenza sulla salute psico-fisica della donna: il fenomeno risulta comune a tutti i paesi, con alcune differenze tra gli stessi e all’interno di questi tra aree urbane e rurali. Il dato più significativo non è relativo a variabili sia pur determinanti come l’età, il sesso, lo stato civile o il livello d’istruzione, ma al fatto che la violenza domestica contro le donne è più alta nelle zone rurali rispetto a quelle urbane in ogni paese.
La maggioranza delle donne parla della problematica per la prima volta durante l’intervista. Lo studio evidenzia la sovrapposizione tra la violenza fisica e sessuale agita dal partner, ma le donne considerano la violenza psicologica più devastante di quella fisica. Sono stati individuati fattori personali, famigliari e sociali che possono esporre a rischio o proteggere la donna. Esiste un filo conduttore tra la violenza fisica subita e i sintomi psico-fisici manifestati e riferiti dalle donne che hanno subito un’aggressione fisica e/o sessuale nell’arco della loro vita. Oltre a danni fisici diretti, queste donne vivono un cattivo stato di salute: ansia emozionale, facilità al pianto, comportamenti suicidi (Tabella 1). Gli effetti negativi sulla salute psico-fisica sono permanenti. Risulta in generale poco frequente il ricorso a servizi pubblici, religiosi o alla comunità per denunciare la violenza, tranne che nei casi più gravi.
Tabella 1 – Conseguenze della violenza domestica sulla salute della donna
Fisiche |
Psicologiche e comportamentali |
Lesioni addominali |
Psicologiche e comportamentali |
Sessuali e riproduttive |
Conseguenze mortali |
Disturbi ginecologici |
Mortalità legata all’Aids |
Raccomandazioni dell’Oms
La violenza domestica contro le donne è prevedibile ed evitabile attraverso l’analisi del contesto, concentrando l’attenzione sui gruppi più vulnerabili e valutando i fattori di rischio e protettivi. L’Oms (Who, 2006) ritiene fondamentale il coinvolgimento del settore sanitario, che rappresenta un alleato attivo e di valore nella risposta globale alla violenza, offrendo in questo campo numerosi vantaggi e pregi. Vicinanza, familiarità, possibilità di raccolta di dati inerenti il fenomeno rappresentano tre aspetti fondamentali della prevenzione della violenza domestica. Il ruolo di primo piano del settore sanitario nella prevenzione della violenza nasce dalla responsabilità nei confronti del pubblico – le persone che in definitiva pagano i servizi e le strutture governative che li organizzano. L’elaborazione e l’implementazione degli interventi possono essere migliorate mediante una stretta cooperazione dei professionisti e delle istituzioni sanitarie con altre istituzioni o settori che si occupano di violenza, con un approccio multidisciplinare e multisettoriale.
È infatti giunto il momento di un’azione più decisa e coordinata, censendo, allo scopo di potenziarli, tutti i servizi sanitari, sociali e legali attualmente disponibili, anche al fine di integrare il sostegno a livello sanitario, sociale e legale (network). È inoltre essenziale migliorare la formazione dei professionisti, inserendo insegnamenti relativi alla prevenzione della violenza nel percorso di studi degli studenti di medicina e di infermieristica.
I dati e lo stato dell’arte in Italia
La violenza domestica riguarda anche l’Italia, che tra l’altro è uno dei paesi europei che ha investito meno efficacemente in programmi per combattere il fenomeno. Questo è quanto è emerso nella Conferenza di New York del 2006, da cui derivano i dati appena descritti.
Secondo l’indagine condotta in Italia dall’Istat nel 2006, oltre 6 milioni e mezzo di donne hanno subito violenza fisica o sessuale nella fascia d’età compresa tra 16 e 70 anni. Le vittime di violenza fisica sono stimate in 3 milioni 961 mila donne (18,8%), con il 23,7% (pari a ben 5 milioni di casi!) che ha subito violenza sessuale, mentre circa 1 milione ha subito stupri o tentati stupri (4,8%).
Le donne sono vittime di più forme di violenza, per lo più reiterata dal partner, l’autore principale di tutte le forme di violenza fisica, compresi gli stupri. Infatti il 69,7% degli stupri subiti dalle donne è opera del partner, il 17,4% di un conoscente, mentre solo il 6,2% è agito da estranei. Le donne che subiscono violenza dal partner o ex partner sono state stimate in 2 milioni 938 mila, ma va calcolato che il fenomeno è sommerso, anche se comunque è stato censito che il 68,3% delle violenze domestiche avviene tra le mura di casa.
In Italia, come nel mondo, i dati certi corrispondono al numero dei decessi. Le vittime spesso non hanno la consapevolezza del fenomeno che le colpisce: il 34,5% delle donne ha dichiarato che la violenza subita è stata molto grave, il 29,7% abbastanza grave. Il 21,3% delle donne ha avuto la sensazione che la propria vita fosse in pericolo in occasione della violenza subita, mentre solo il 18,2% di esse ha considerato che la violenza subita potesse essere reato. A quest’ultimo proposito, il 44% ha ritenuto la violenza subita un qualcosa di sbagliato, il 36% un qualcosa che è accaduto, ma soprattutto il 93% delle donne intervistate non denuncia la violenza subita. Tutto ciò che sta a monte del ciclo della violenza, caratterizzato da un andamento a spirale di gravità crescente, fa parte dell’invisibilità di una problematica sulla quale le conoscenze cui attingiamo ci dicono che niente, rispetto ai luoghi comuni utilizzati per inquadrarla, è ciò che sembra.
Violenza, sistema sanitario ed operatori
In Italia la donna vittima di abuso o maltrattata ricorre ai servizi sanitari con una frequenza da 4 a 5 volte maggiore rispetto alle donne non maltrattate. Il numero di vittime che si rivolge al Pronto soccorso è nettamente superiore a quello delle donne che si recano alla Polizia, ai consultori, ai centri antiviolenza, ai servizi sociali e ai servizi messi a disposizione dal volontariato.
Il Ministero della salute (2008-a) ha stabilito che la violenza contro le donne è una priorità nelle scelte di sanità pubblica. Come prima azione strategica era stata individuata l’educazione/informazione nelle scuole e la formazione di tutti gli operatori (medici di medicina generale, infermieri, operatori socio sanitari dei servizi territoriali e ospedalieri). Successivamente dovevano essere aperti Sportelli dedicati in ogni Pronto soccorso e estesa 24 ore su 24 l’operatività dei Centri antiviolenza regionali di riferimento, attraverso il numero verde 1522. Il progetto approfondisce l’aspetto dell’accoglienza e assistenza delle vittime di violenza fisica/sessuale e domestica presso servizi ospedalieri e territoriali (Ministero della salute, 2008-b).
Attualmente, dal punto di vista infermieristico, il panorama appare disomogeneo, caratterizzato da realtà che hanno attuato il progetto efficacemente e realtà nelle quali l’approccio è lasciato all’iniziativa personale: ogni fase, dalla rilevazione al trattamento e alla riabilitazione, è scollegata, quindi di dubbia efficacia o comunque fuori controllo. All’interno dei Pronto soccorso delle più grandi città italiane sono stati istituiti punti di ascolto dedicati, nei quali sono coinvolti anche gli infermieri, ma rimane molta strada da percorrere. L’infermiere non sempre è consapevole della propria responsabilità giuridica e deontologica nei confronti della donna maltrattata.
Esistono ostacoli alla presa in carico del bisogno di salute della vittima di violenza domestica, come ad esempio:
- mancanza di competenze relazionali adeguate. Diversi studi dimostrano che esiste la paura di “aprire il vaso di Pandora” o insufficienti informazioni sulla rete di servizi di supporto esistenti;
- conoscenze insufficienti o non aggiornate riguardo alle cause, conseguenze e dinamiche della violenza domestica, oltre a stereotipi e stigmatizzazione;
- scarsità di strutture dedicate all’accoglienza, di tempo e di risorse umane necessari per la rilevazione dei sintomi psico-fisici, dei danni organici, per l’ascolto attivo. Il tempo investito nel supporto emozionale può essere percepito dagli operatori pressati dalle urgenze come tempo sottratto all’assistenza degli altri pazienti;
- insufficiente supporto intra-istituzionale, procedure condivise assenti, scarse conoscenze in ambito legale.
La complessità della problematica non esclude l’efficacia di interventi isorisorse (aggiornamenti interni), ben progettati con lo scopo di sensibilizzare gli operatori, primo passo verso l’emersione del fenomeno e la consapevolezza.
Consapevolezza è il termine che assume peso specifico proprio a seconda del soggetto cui si lega, infermiere, vittima, autore; essa entra sempre in gioco nella relazione di aiuto. L’ultimo documento dell’Oms pubblicato sulle evidenze in ambito di prevenzione della violenza (Who, 2010), enfatizza la promozione proprio di queste iniziative in ambito formativo, caratterizzate da impegno economico modesto e rilevante efficacia operativa.
Note:
[1] World Report on Violence and Health, Who 2002 p. 21 disponibile al sito http://whqlibdoc.who.int/publications/2002/9241545615_ita.pdf
[2] Conferenza mondiale delle Nazioni Unite (1993) disponibile al sito http://www.un.org/documents/ecosoc/cn6/1995/ecn61995-1.htm
[3] World Health Organizationi. Who 1996