Sonno, turno notturno e ricadute: analisi della letteratura


Il lavoro a turni a rotazione, che comprende anche il turno notturno, è comune nella pratica infermieristica; ciò porta inevitabilmente ad una scarsa qualità e inadeguata durata del sonno del professionista, che va ad incidere negativamente sui meccanismi omeostatici del corpo e porta ad una maggiore stanchezza, che si proietta inevitabilmente sulla qualità dell’assistenza. Un insuficiente sonno ristoratore quotidiano e un inadeguato tempo di recupero dal lavoro notturno, come descritto in molti studi, può portare a una privazione di sonno: ciò può influire sull’abilità di fornire alti standard di cura, quelli che gli infermieri cercano di erogare ai loro pazienti. Gli infermieri infatti devono rimanere vigili per fornire un’assistenza sicura, riconoscere anche dei lievi cambiamenti nelle condizioni cliniche dei pazienti, intercettare potenziali errori garantendo la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche. Se poi alla privazione di sonno si associa un orario di lavoro prolungato, si manifesta un aumento del rischio.
I pericoli associati ai turni di lavoro prolungati sono ampiamente noti in alcuni settori lavorativi. Infatti il 70% degli incidenti e degli infortuni sono attribuibili almeno in parte alla stanchezza: la letteratura collega i peggiori disastri mondiali a quest'ultima. Alcuni autori affermano che la catastrofe dei reattori nucleari di Chernobyl, che avvenne in piena notte, fu causata durante un turno notturno. Il disastro ambientale provocato dalla fuoriuscita di greggio dalla petroliera Exxon Valdez è stato anch'esso collegato in molte pubblicazioni alla stessa causa. La stanchezza, quindi, porta a una distorsione delle abilità percettive, capacità di ragionamento e di giudizio, di presa di decisione: tali distorsioni si manifestano attraverso un generale rilassamento delle funzioni cerebrali, che causano ritardo nei tempi di reazione, deficit della memoria e riduzione delle abilità cognitive, come il ragionamento logico e la concentrazione, che sono entrambi di primaria importanza nella professione infermieristica.
Obiettivo principale di questa analisi è indagare come la privazione di sonno dovuta alla rotazione su turni di lavoro notturni possa influenzare la sicurezza del paziente e la qualità di vita degli infermieri. Come obbiettivo secondario ci siamo posti quello di raccogliere raccomandazioni per migliorare l'adattamento sul posto di lavoro, rendendolo un ambiente sempre più funzionale alle esigenze del turnista.

Quali evidenze sul tema?
Dalla consultazione della banca dati PubMed nel mese di maggio 2011, utilizzando le parole chiave "nurses" AND "sleep disorder, circadian rhythm" e "nursing staff, hospital" AND "sleep disorder, circadian rhythm" relativamente agli ultimi 5 anni. In totale sono stati reperiti 44 articoli tra i quali ne sono stati selezionati 17, che analizzano l'impatto del sonno e della stanchezza sulla salute e sulla sicurezza dei pazienti e degli infermieri che effettuano il lavoro notturno.
Dall'analisi effettuata sono emersi i seguenti risultati raggruppabili in tre aree tematiche: il sonno e il ritmo circadiano, il lavoro a turni e le ricadute per la salute e la sicurezza di infermieri e pazienti.

Il ritmo sonno-veglia
Il sonno normale è caratterizzato da cicli definiti di diversa profondità e sincronia con il ritmo circadiano di ventiquattro ore. Sappiamo che durante il periodo di sonno si verificano due processi fisiologici, conosciuti come processo S, che consiste in cicli di sonno, e il processo C o ritmo circadiano, un orologio biologico con un ciclo ritmico di circa ventiquattro ore.
Il processo S si compone di quattro fasi di sonno caratterizzate da movimenti oculari rapidi e non rapidi. Le fasi 1 e 2 sono le più leggere, definite “di transizione”: costituiscono più della metà della durata stessa dell’intero processo e “traghettano” verso le fasi più importanti del sonno profondo, 3 e 4, in cui si verifica un aumento dell'ormone della crescita. Il processo C o ritmo circadiano regola il nostro sonno-veglia sulla base della risposta fisiologica alla luce del giorno e all'insorgere del buio. È proprio quest’ultimo che spinge il nostro corpo a secernere melatonina, un ormone precursore che induce il sonno.
Gli orari di lavoro irregolari pongono gli infermieri a rischio di disturbi del sonno, il che è associato ad effetti pericolosi per la salute dei lavoratori e la sicurezza del paziente. Tuttavia strategie basate sul mantenimento di normali cicli di sonno e del ritmo circadiano possono evitare effetti negativi legati a tale problema. Carriera, esigenze familiari e sociali spesso sottraggono sonno, alterando il normale ciclo sonno-veglia e riducendo le fasi di sonno ad un numero di ore inferiore a sette, ovvero quelle necessarie a mantenere un’adeguata vigilanza e una buona salute (Dinges, 2007). La carenza di sonno si accumula, interessa le nostre performance neurocomportamentali, la funzione endocrina, il benessere fisico e la salute emotiva e mentale. Le ricerche hanno dimostrato che il pensiero critico e le prestazioni declinano con 6 o meno ore di sonno (Dingers, 2007). Lunghi periodi di veglia senza sufficiente riposo influiscono anche sulle prestazioni neurocomportamentali.
Evidenze dimostrano come la perdita di sonno influisca sulla funzione endocrina: infatti l'insufficiente fase 4 del sonno (sonno profondo) diminuisce i livelli dell'ormone della crescita e produce l’alterazione delle cellule natural killer, così come altre cellule immuno-protettive dell’organismo, oltre ad un aumento dei livelli di cortisolo, reazione che può indicare elevati livelli di stress (Wright et al., 2007). Recenti studi hanno inoltre dimostrato che la tolleranza al glucosio è compromessa con la perdita di sonno (Punjabi, Beamer, 2005). Quando il sonno non è sufficiente, il rilascio di alcuni ormoni che influiscono sulla fame è alterato; il cervello riceve il segnale che abbiamo bisogno di mangiare e necessitiamo di energia, ma in realtà l’organismo ha bisogno di dormire e riposare. Un periodo di sonno ridotto è anche associato ad un aumento dell'indice di massa corporea (Taheri et al., 2004). Infine, ma non meno importanti, sono documentati anche disturbi come sbalzi d'umore e labilità emotiva.

Il lavoro a turni
Chiunque abbia lavorato in turni a rotazione quasi sicuramente si è imbattuto in disturbi come stanchezza e facile irritabilità. Già nel 1982 Jamal e Bada hanno messo a confronto in uno studio infermieri con turni lavorativi fissi, con lo stesso orario diurno per settimane o mesi, e altri con turni a rotazione. È emerso che i primi riescono a trascorrere più tempo libero con le proprie famiglie, manifestando un numero ridotto di problemi psico-fisici rispetto ai colleghi del secondo gruppo. A rafforzare questa tesi Coffey, Skipper e Jung nel 1988 hanno documentato come negli infermieri diurnisti si sono registrati livelli di stress lavorativo inferiori rispetto a colleghi con turni a rotazione.
Coloro che effettuano turni di notte hanno riportato maggiori sintomi di stress e maggiore incidenza di burnout (Kandolin, 1993). L'interruzione del ciclo sonno-veglia è una conseguenza ovvia del lavoro a turni (West, 2001) e molti studi hanno esaminato la quantità di sonno perso e le alterazioni sulla qualità di vita di coloro che lavorano di notte. La maggior parte di questi studi però si concentra sull'infermiere con esperienza di turnista piuttosto che sulla figura del diurnista. Nel 2003 Hart ha documentato un aumento di incidenti sul lavoro in persone che svolgono turni di notte e ha messo questo dato in relazione a fatica prolungata e a periodi inadeguati di convalescenza. Un altro studio condotto da Swaen (2003) ha documentato un’incidenza 3 volte maggiore nei lavoratori che svolgono turni di notte rispetto ai diurnisti, confermando quanto detto precedentemente. Williamson e Feyer (2003) hanno preso in esame il tragitto di ritorno dalla sede lavorativa a casa dopo il turno notturno, individuando che gli individui privati del sonno possono avere un meccanismo di risposta rallentato che può portare ad una riduzione delle prestazioni e dei riflessi; un elevato numero di turni notturni raddoppia il rischio di coinvolgimento in incidenti stradali nel tragitto di rientro a casa.

Ricadute per la salute e la sicurezza
La tolleranza al lavoro varia tra i diversi individui, alcuni dei quali preferiscono svolgere attività lavorativa nelle ore diurne e possono mal tollerare i turni di lavoro notturni; viceversa chi preferisce lavorare la notte può manifestare un miglior adattamento e una maggiore tolleranza. Alcuni infermieri, per ovviare all’intolleranza per il lavoro notturno, adottano comportamenti errati: ad esempio l’incremento di assunzione di caffeina, alcool, farmaci sedativi e un conseguente uso di prodotti per la regolarizzazione dell'intestino e la riduzione delle secrezioni acide gastriche con conseguenti seri rischi per la salute (Caruso, 2004). Isolamento sociale, divorzi e abuso di sostanze sono segni di malessere psicologico del lavoratore turnista con conseguente riduzione del suo stato di buona salute (Michie, 2003). Schernhammer nel 2003 ha documentato come infermieri che hanno effettuato almeno tre turni lavorativi notturni al mese per almeno quindici anni hanno un rischio aumentato esponenzialmente con l’aumentare degli anni di contrarre un cancro colon-rettale. Diversi aspetti degli stili di vita, come la percezione soggettiva dei carichi di lavoro, la mancanza di esercizio fisico e la qualità del sonno globale, contribuiscono alla stanchezza cronica (Samaha, 2007). Questo risultato è ancor più consistente in uno studio condotto su 2248 lavoratori australiani, per i quali gli elevati carichi di lavoro sono associati ad un incremento delle malattie (D'Souza, 2006). La ridotta vigilanza può portare ad errori clinici che possono compromettere il benessere del paziente (Landrigan, 2004): infatti la prestazione psicomotoria può alterarsi negativamente a causa della fatica. Reid ha paragonato la mancanza di sonno all’ingestione di alcool, tenendo in considerazione come questi due parametri influenzino le abilità psicomotorie di un individuo e ha documentato come la privazione dal sonno per 28 ore sia paragonabile ad un livello di alcool nel sangue pari a 0.1%, superiore a quello considerato eccessivo per poter guidare nel Regno Unito (0.08%) (Williamson, Feyer 2000). Quindi la privazione di sonno e la fatica riducono la vigilanza e compromettono potenzialmente la sicurezza del personale infermieristico e del paziente.
In uno studio relativo alle ore di lavoro degli infermieri per la sicurezza del paziente, i rischi di errori e gli errori sono stati visti aumentare quando gli infermieri hanno svolto turni straordinari (Rogers et al., 2004). Gli straordinari oltre le 12 ore hanno incrementato 3 volte il rischio di cadere in errore e più del doppio il rischio di incorrere in un quasi-errore.

Conclusioni
Senza la corretta gestione della stanchezza e la messa in atto di interventi appropriati, la sicurezza del paziente e degli operatori continuerà ad essere a rischio. Sarebbe auspicabile una condivisione delle responsabilità: gli infermieri, da una parte, dovrebbero presentarsi a lavoro in condizioni ottimali per affrontare il turno, attenti a rispettare le raccomandazioni (tabella 1); dall'altra, gli infermieri dirigenti e coordinatori dovrebbero assicurare una programmazione della turnistica volta a massimizzare la vigilanza all'interno degli staff. Gli infermieri, dopo aver preso in giusta considerazione quelli che sono gli effetti avversi della stanchezza sui pazienti e su loro stessi, dovrebbero essere scoraggiati nell'affrontare dei secondi lavori o un elevato numero di ore in straordinario. Le politiche relative alla gestione delle risorse umane dovrebbero garantire un limite al ricorso al lavoro aggiuntivo, mediante sistemi premianti congrui ed equitari che garantiscano una sufficiente remunerazione. Nonostante l'evidente impatto e rilevanza di questi aspetti del lavoro infermieristico, le ricerche sul tema sono ancora limitate; occorrerebbero invece dei programmi efficaci per la gestione della stanchezza, a partire dal miglioramento delle conoscenze sull'igiene del sonno e sul cambiamento di specifici comportamenti correlati all'attività lavorativa. I dirigenti dovrebbero tenere in grande considerazione l'impatto che l'invecchiamento ha nell'attività infermieristica: con l’aumentare dell’età biologica sopra i 45 anni, l’individuo tollera con maggior difficoltà la turnistica, poiché il corpo non è in grado di riadattare il proprio orologio biologico al cambiamento continuo dei modelli di sonno imposti dal lavoro notturno.
In un modello organizzativo ottimale, al raggiungimento di un’età biologica ormai non più giovanissima e dopo l’acquisizione di una notevole esperienza lavorativa e formativa, gli infermieri potrebbero essere destinati al lavoro diurno, affidando loro attività di carattere più gestionale che clinico, di management, di formazione o di ricerca. In relazione alla continuità assistenziale che viene perseguita nell'arco delle ventiquattro ore all'interno degli ospedali, è di fondamentale importanza che la direzione, i responsabili politici e i servizi dedicati alla salute dei dipendenti collaborino con questi ultimi per identificare strategie di riduzione dei rischi derivanti dalla deprivazione di sonno tra gli infermieri.

Tabella 1 – Consigli per migliorare il sonno e il ritmo circadiano dei lavoratori turnisti

 

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